Classe 1995, di media statura, snella, capelli castani che le scivolano flessuosi sulle spalle, occhi nocciola (almeno ora, perché innocentemente dice che ama cambiare colore con le lentine) e un sorriso splendente. E’ questa Sara Cassandra, la giovanissima scrittrice aversana fattasi conoscere dal mondo del web e poi divenuta autrice di punta della casa editrice “Galassia Arte”.
Il successo di Sara prende piede a partire dal 2013 all’età di soli 17 anni, quando mettendo in rete il suo blog “Cassandra-blogger” sul social network Tumblr ha raggiunto in pochissimi mesi migliaia di fan oltre che ricevuto centinaia di complimenti per la sua forma mentis e la sua scrittura.
E così, come succede per molti youtuber che dai video virali divengono poi attori di film, Sara seguendo l’onda del successo mediatico ha pubblicato il suo primo libro “Scrivere fa rima con vivere” nel marzo del 2014, un aforismario che passa in rassegna temi diversi: dall’amore adolescenziale all’ipocondria, dalla riflessione metafisica all’introspezione personale, dalla passione per la scrittura al binomio vita-morte.
Il libro ha avuto un enorme successo, tanto che ormai il suo blog su Tumblr ha raggiunto quasi i 60mila fan.
Studentessa al primo anno di filosofia, lungimirante per la sua giovane età, amante della cultura e dei ragionamenti psicoanalitici, la Cassandra non è mai “scesa a compromessi” nelle sue opere e, diffidando dei generi più popolari e quindi più comuni, ha pubblicato nel dicembre del 2015 una silloge poetica intitolata “Pazzo fu il vetturino”.
Una scelta che riassume tutta la determinazione di una ventenne con le idee ben chiare. “Scrivere solo per vendere è la più alta forma di prostituzione mentale” dice sfoggiando un’espressione serena, riferendosi al fatto che la poesia non è un genere “che tira molto”, economicamente parlando.
L’abbiamo incontrata a pochi mesi dall’uscita del suo secondo libro affinché rispondesse ad alcune nostre curiosità e subito con entusiasmo ci ha riferito che il suo volume ha raggiunto, secondo la classifica di “Poesia e teatro – novità”, ottime posizioni tra i libri più venduti.
Ogni storia ha un suo prologo, quale reputeresti l’episodio prologo che ti ha portato all’epilogo di divenire una scrittrice? In parole povere, quando hai capito che questa sarebbe stata la tua strada? Ero all’ultimo anno di scuole medie e la mia professoressa di geografia scrisse un bigliettino dedicato ad ogni alunno per salutarlo in vista della fine del percorso scolastico. Ricordo con tenerezza ciò che scrisse a me: “Alla poetessa Sara Cassandra”. In seguito, riflettei a lungo su quell’aggettivo e lo rivalutai. Ero stata definita, per la prima volta, “poetessa” e desiderai essere definita così anche in altre occasioni.
Qualcuno ti definisce la nuova giovane promessa dell’editoria italiana. È un’affermazione importante, senti il peso di una qualche responsabilità? Sì, perché usare l’espressione “promessa dell’editoria italiana” vuol dire che da me ci si aspetta dei libri che vendano. Essere una “promessa” significa che una grande casa editrice punta molto su di te e non mi sento all’altezza di una tale definizione.
La tua scrittura nasce, cresce e si fa conoscere tramite un social, lì hai trovato i tuoi primi fan. Consideri questo approccio moderno al mondo letterario positivo o negativo? Sicuramente per me è un punto di inizio importante, perché attraverso i social si raggiunge un pubblico vasto e persone che tu non penseresti mai possano interessarsi alla tua scrittura. L’approccio tecnologico, anche nel mondo dell’editoria, è secondo me utilissimo.
Gli argomenti che tratti non sono standard. A 20 anni, più che di storie d’amore liceali, parli di dolore, ipocondria, inconscio e filosofia: credi che questo ti renda in qualche modo “superiore” o, almeno, diversa da molti scrittori tuoi coetanei? No, superiore no. Io sono dell’idea che anche scrivere d’amore, se lo si sa rendere non banale, può risultare produttivo. Io non sono in grado di scrivere d’amore in maniera originale e preferisco argomenti meno abusati ma più vicini a me. Mi sento diversa, non migliore.
Il tuo primo libro era ancora in qualche modo legato ad un filone, per così dire, più popolare: quanto è cambiata la tua scrittura dal primo al secondo libro? Tantissimo. Nel primo libro mantengo un linguaggio abbastanza semplice. La scrittura aforistica deve necessariamente essere comprensibile. Nel secondo libro, trattando una silloge, ho potuto adoperare un linguaggio dinamico: a volte semplice e lineare, altre volte elaborato e criptico.
Chi curiosa sul tuo blog di Tumblr noterà sicuramente le miriadi di complimenti alla tua bellezza oltre che alla tua bravura, tanto che qualche malalingua ha insinuato che la ragione del tuo successo sia dovuto proprio a questa caratteristica. Come risponderesti? Vorrei dire loro che le persone quando vanno in libreria non acquistano i miei calendari, ma i miei libri. Se non ho scelto di fare ad esempio la “fashion blogger”, un motivo ci sarà. Amo la scrittura e dedico ad essa la mia vita.
“Pazzo fu il vetturino” è un nome davvero particolare per una silloge poetica, da cosa deriva? Deriva da un’intuizione o, per meglio dire, riflessione, che ebbi studiando Nietzsche al liceo quando si diceva che gli studiosi attribuivano la data del 3 gennaio 1889 all’inizio della sua follia. Questa giornata viene ricordata per un particolare episodio. Nietzsche abbracciò un cavallo che era stato maltrattato da un vetturino. Il filosofo cominciò a piangere e ad avere crisi isteriche e molti sostennero che fu proprio quello il principio della sua pazzia. Allora, pensai che più che pazzo Nietzsche, che io ritengo uomo e intellettuale di grandissima sensibilità, pazzo fu il vetturino nel maltrattare il cavallo.
Qual è la poesia della tua raccolta che ti rappresenta di più? Probabilmente, “Anestesia totale” che è, come dice l’inizio della poesia stessa, “la storia di un orgoglio ossessivo”, inteso come autocontrollo della propria mente e del proprio corpo come unica fiducia nella vita. L’anestesia totale rappresenta la perdita di questo autocontrollo di sé, l’abbandono al potere di qualcosa di superiore. Ecco, ho sempre concepito l’anestesia totale come un assaggio della morte, e nella poesia ho voluto esasperare questo concetto rendendolo quasi umanamente inaccettabile…
Se ti dovessi paragonare a un autore o, addirittura, filosofo del passato chi sceglieresti? Non mi sento nella posizione di potermi paragonare a un filosofo, ma posso dire che mi sento molto vicina alle idee di Nietzsche e Feuerbach.
Hai 20 anni, frequenti l’Università e hai già pubblicato due libri: è rimasto qualche altro sogno a Sara Cassandra? Ho già realizzato tutti i miei sogni. Cosa desidero ancora? Forse, la possibilità di poter continuare a viverli. Ho un’aspirazione, però! Mi piacerebbe diventare professoressa di filosofia e far nutrire interesse per questa meravigliosa materia. La filosofia “apre la mente” e deve essere rivalutata.
Cosa ti auguri per questo 2016? Finirlo!? (Ride, n.d.r.). Scherzo, mi auguro di pubblicare anche il mio primo romanzo, ergo terzo libro: “L’inganno dei doppiatori”.