Messina, omicidio di Francesco La Boccetta: arrestati i mandanti

di Redazione

Messina – I carabinieri del comando provinciale di Messina e del nucleo investigativo hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Giuseppe Pellegrino, 53 anni, e di Angelo Bonasera, di 51, ritenuti tra i mandanti dell’omicidio di Francesco La Boccetta, avvenuto a Messina il 13 marzo 2005.

Quella sera, due persone a bordo di una moto di grossa cilindrata, con i volti coperti da caschi integrali, hanno affiancato La Boccetta che, a bordo di una micro car, stava facendo rientro nella casa di accoglienza dove scontava gli arresti domiciliari e gli hanno esploso contro almeno cinque colpi di pistola calibro 7,65. La vittima dell’agguato, trasportato in ospedale, è deceduta dopo qualche ora di agonia.

La Boccetta era un personaggio noto nel panorama della criminalità mafiosa messinese. Aveva iniziato la sua carriera negli anni ’80, riuscendo in breve a diventare uno dei luogotenenti del pluripregiudicato Luigi Sparacio. Cambiati gli assetti della criminalità organizzata, negli anni a seguire, si era dapprima avvicinato al clan capeggiato dall’ergastolano Giacomino Spartà e poi a quello di Pietro Trischitta, in seno al quale aveva raggiunto una posizione verticistica. Era stato più volte arrestato e denunciato per associazione mafiosa, reati contro il patrimonio, detenzione e porto abusivo di armi, estorsioni, nonché traffico e spaccio di stupefacenti.

L’omicidio del boss venne vendicato dal suo gruppo il 29 aprile 2005, con l’uccisione a colpi di pistola sul viale Europa di Micalizzi Sergio, ritenuto uno degli autori materiali dell’agguato, e con il ferimento di Saraceno Angelo che si trovava in sua compagnia. Poche ore dopo, in un tragico “botta e risposta”, uomini del clan cui appartenevano La Boccetta e Micalizzi, uccisero Marcello Idotta, schierato col gruppo che aveva ordinato l’uccisione di Micalizzi, e ferirono il suo accompagnatore, Gabriele Fratacci.

La spirale di sangue che rischiava di far sprofondare Messina in una nuova “guerra di mafia”, fu interrotta dai carabinieri che con le operazioni “Ricarica” e “Mattanza”, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, decimarono le fila dei clan mafiosi contrapposti ed arrestarono quasi tutti gli autori ed i mandanti dei gravi fatti di sangue.

La decisione di uccidere La Boccetta, come emerso dalle indagini compiute, era stata assunta, in una serie di riunioni tenutesi alcuni mesi prima dell’omicidio all’interno del carcere di Messina Gazzi, dai pregiudicati, tutti all’epoca detenuti, Marcello D’Arrigo, Salvatore Centorrino, Daniele Santovito, Angelo Bonasera e Giuseppe Pellegrino. Questi, che rappresentavano il vertice del clan di Pietro Trischitta e che ben conoscevano l’amicizia esistente tra quest’ultimo e la vittima designata, si preoccuparono di fare in modo che la decisione risultasse presa all’unanimità per far sì che il loro capo, col quale non potevano comunicare perché ristretto al “carcere duro”, una volta appresa la notizia, avesse dovuto ritenerla inevitabile perché frutto della concorde volontà di tutti i suoi luogotenenti.

In merito al movente che ha armato la mano degli assassini, le investigazioni hanno svelato come coesistessero diversi interessi in capo ai mandanti. In particolare, l’omicidio sarebbe servito per punire La Boccetta – in maniera esemplare agli occhi degli altri affiliati – per aver tradito il proprio gruppo avvicinandosi sempre più a quello di Santo Ferrante e per avere diffuso la falsa notizia secondo la quale altri esponenti del clan si erano appropriati di una grossa partita di cocaina che, invece, egli stesso aveva fatto spacciare per conto proprio. Inoltre, alla vittima era stata anche addebitata una scarsa attenzione nel sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti ed una gestione troppo egoistica delle risorse derivanti dalle attività illecite del gruppo mafioso.

Per l’omicidio di La Boccetta sono stati già condannati all’ergastolo con sentenze irrevocabili Barbera Gaetano, ritenuto uno degli autori materiali, D’Arrigo e Santovito, individuati come mandanti. Centorrino, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, è stato condannato a dodici anni di reclusione, per essere stato anche lui uno dei mandanti. Bonasera è stato individuato nella sua abitazione del rione Giostra, mentre Pellegrino è stato raggiunto dal provvedimento nel carcere di Rossano dove si trovava ristretto per altra causa.

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