La notizia della morte di George Martin, novant’anni, leggendario produttore, arrangiatore e compositore britannico è un avvenimento che risuona fragorosamente nella vita di chiunque, negli ultimi sessant’anni, abbia avuto a che fare con la musica pop.
Famoso per aver lasciato il suo fondamentale marchio negli album dei Beatles, al punto da essere ricordato universalmente come il quinto componente del quartetto di Liverpool, Martin ci lascia in eredità un lavoro di oltre 700 dischi, dai Wings a Sting, da Celine Dion a Jeff Beck, dagli America ad Elton John, per il quale ha prodotto la famosissima Candle in the wind 1997, singolo da record dedicato alla scomparsa principessa Diana.
Più di questo, Sir George Henry Martin ci ha lasciato le sue sperimentazioni in studio, quell’approccio anticonvenzionale all’utilizzo degli strumenti a sua disposizione che ha proiettato i dischi dei Fab Four nell’olimpo della musica e gettato, di fatto, le basi del concetto di produzione musicale in senso moderno: tra le tante cose, il suo lavoro sui nastri, accelerati, decelerati, riprodotti simultaneamente a velocità diverse – tecnica usata nella celebre Strawberry Fields – introdusse, con alcuni decenni d’anticipo, il concetto su cui si basa il funzionamento di qualsiasi consolle da DJ; alla produzione di brani come Being for the benefit of Mr. Kite e Tomorrow never knows si devono l’impiego di tecniche innovative come loop e di campionamenti, oggi utilizzate in maniera intensiva. Sempre lavorando a Tomorrow never knows, fu il primo ad intuire le potenzialità del Leslie, amplificatore a casse rotanti, su strumenti diversi dall’organo per il quale era stato concepito, rivoluzionando il sound di buona parte della produzione rock successiva.
Il suo modo di intendere lo studio di registrazione come una fucina di creatività e di esperimenti, fino al trasformare la sala d’incisione in un unico, grandissimo, strumento musicale, rappresenta idealmente tutto un corso storico che oggi va perdendosi sempre più nelle pieghe di un mercato che, purtroppo, preferisce la rassicurante banalità di un prodotto opaco e standardizzato al florilegio di suoni, colori ed audacia compositiva di un Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.