È stato arrestato il vicepresidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan: l’uomo è stato bloccato a San Paolo nella mattinata odierna mentre usciva di casa per recarsi a lavoro. Le forze dell’ordine – è stato reso noto – hanno agito su mandato disposto da un giudice della città di Lagarto, nello Stato di Sergipe (nord-est).
Il motivo, secondo gli agenti, è stata la mancanza di collaborazione di Facebook in indagini aventi ad oggetto messaggi su WhatsApp, che appartiene alla nota piattaforma sociale. Il colosso dei social si sarebbe infatti rifiutato di fornire i dati dei profili WhatsApp e Facebook di alcuni utenti e il contenuto delle loro chat. Secondo gli inquirenti però in queste conversazioni i sospettati si scambiavano informazioni sul traffico di droga.
Il giudice prima ha deciso di multare il colosso con una sanzione da un milione di real brasiliani (230 mila euro all’incirca) da pagare entro un mese. E poi ha proceduto all’arresto del numero due del social network. L’ufficio stampa del Tribunale di Sergipe non ha voluto però dare altre dettagli. Dzodan è vice presidente di Facebook in Brasile dall’anno scorso ed è nato in Argentina.
Anche da Facebook non è arrivato per il momento alcun commento. Il caso ha suscitato molto scalpore in Brasile come sottolinea anche il quotidiano O Globo. Ma pare che non è la prima volta infatti che Facebook si rifiuta di collaborare con la giustizia brasiliana a indagini sul narcotraffico. In tutta risposta l’anno scorso la chat di WhatsApp era stata sospesa per 48 ore ma poi una nuova ordinanza aveva fatto ripartire il servizio. “Questo è un giorno triste per il paese”, aveva commentato all’epoca Mark Zuckerberg.
Facebook, secondo Statista, conta all’incirca 80 milioni di utenti e rappresenta dunque uno dei mercati più importati del colosso. Inoltre Dzodan non è il primo dirigente di un’azienda del tech ad essere stato arrestato. Nel 2012 era toccato al presidente di Google, Fabio José Silvia Coelho, finito in cella, per non avere ritirato da YouTube alcuni video che diffamavano un candidato alle elezioni municipali.