In Italia i corpi dei tecnici uccisi. Moglie di Failla: “Non voglio funerali di Stato”

di Stefania Arpaia

Roma – Sono arrivati in Italia poco dopo la mezzanotte i corpi dei due tecnici italiani uccisi in Libia, Salvatore Failla e Fausto Piano, all’aeroporto Ciampino a bordo del C-130 dell’Aeronautica militare.

In corso le autopsie sui corpi dei defunti, svolta all’ospedale Gemelli. I referti però sono stati “manomessi” perchè laddove doveva esserci solo una verifica esterna, c’è stata un’operazione di lavaggio dei corpi che non permetterà di individuare particolari come la polvere da sparo lasciata dai proiettili.

In aeroporto presenti i familiari delle vittime e un sacerdote che ha benedetto le salme. A seguire il rito religioso durato quasi mezz’ora.

Nel frattempo sono state diffuse alcune indiscrezioni sui risultati dell’autopsia fatta a Tripoli, secondo cui sui corpi dei tecnici ci sono i segni di decine di colpi di kalashnikov, al torace e alle gambe. E quindi la dinamica è compatibile con quella dell’agguato, condotto dalle milizie di Sabrata il 2 marzo durante il trasferimento dei due ostaggi a un’altra prigione a 30 chilometri fuori dalla città libica.

E’ tanta la rabbia per quelle morti che potevano essere evitate. La famiglia Failla ha infatti fatto sapere di non volere i funerali di Stato, accusandolo di essere stato assente prima e dopo la morte delle vittime. “Non voglio funerali di Stato per mio marito – ha detto Rosalba, moglie di Failla – Sono arrabbiata. Mi era stato detto che in Libia non sarebbe avvenuta l’autopsia e questo non è avvenuto. Averla fatta giù non vale adesso più niente e non consente di accertare quanto è accaduto”.

La donna ha poi ricordato la registrazione che i rapitori gli fecero ascoltare del marito, in cui l’uomo chiedeva aiuti economici per cure mediche. “Ho sentito la registrazione di Failla fatta ascoltare ieri dalla moglie – ha riferito Filippo Calcagno, il tecnico della Bonatti rientrato in Italia – Le cose sono andate così, il racconto non si allontana dalla realtà, dall’incubo che abbiamo vissuto. Loro ci avevano chiesto un numero di cellulare di tutti nostri familiari. Io non ricordavo a memoria il numero dei cellulari di mia moglie e dei miei figli, e gli dissi che l’unico numero che potevo dare era quello fisso di casa e lo presero. Ce li hanno estorti”.

Poi ha aggiunto: “Tra i nostri sequestratori nessuno parlava l’italiano”. Solo la moglie di Failla ricevette quella telefonata e ora la donna ha dichiarato: “Mi sento in colpa per non aver ascoltato mio marito, forse avrei potuto salvarlo”.

Proseguono le indagini per far luce su chi abbia rapito gli italiani lo scorso luglio.

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