Reggio Calabria – La Polizia di Stato ha eseguito ha portato a 17 arresti, di cui sei ai domiciliari, e due obblighi di dimora nei confronti di 19 affiliati alla ‘ndrangheta appartenenti ad alcune alle cosche De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti.
I reati contestati gli arrestati vanno dall’associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio. Eseguite anche numerose perquisizioni e sequestrati beni e società, tra cui diversi bar, per oltre 10 milioni di euro.
L’indagine è partita da due attentati compiuti nel 2014 ai danni del “Bar Malavenda” di Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti “a Reggio, chiunque voglia intraprendere un’attività economica o commerciale, non deve rivolgersi soltanto allo Stato o agli enti locali per le relative autorizzazioni amministrative, ma deve ottenere il nulla osta da parte delle cosche che controllano il territorio e che formano il cosiddetto ‘sistema Reggio'”.
Tra gli arrestati anche il presunto boss Giorgio De Stefano, 68 anni, ritenuto capo dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. De Stefano, avvocato da alcuni anni in pensione, è il cugino di Paolo De Stefano, capo storico della cosca ucciso nel 1985 nella “guerra di mafia” di Reggio Calabria. La stessa sorte toccò all’epoca anche al fratello di Paolo, Giorgio, ucciso in un agguato in Aspromonte.
L’avvocato Giorgio De Stefano, dopo avere scontato una condanna a tre anni e mezzo di reclusione inflittagli nel 2001 per concorso esterno in associazione mafiosa, attualmente era libero. Secondo gli investigatori, ha sempre rappresentato, e rappresentava tuttora, “l’intellighenzia” della cosca De Stefano, capace di elaborarne alleanze e strategie, con un impronta tipicamente manageriale, individuando le attività criminali più lucrose da mettere in atto.
Dieci milioni di euro è il valore stimato delle aziende e degli altri beni sequestrati. La Polizia ha eseguito anche numerosi sequestri di esercizi commerciali in mano alla ‘ndrangheta. Si tratta di noti bar della città, di una stazione di servizio per l’erogazione di carburante, di una concessionaria di autovetture ed esercizi commerciali per la distribuzione di prodotti ittici surgelati.
Presa anche una “talpa” in tribunale. Con l’accusa di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, aggravata dalla circostanza di aver agevolato la ‘ndrangheta, è stata arrestata una donna di 52 anni, Maria Angela Marra Cutrupi, impiegata a tempo determinato “e con mansioni esclusivamente esecutive”, all’ufficio Gip del Tribunale di Reggio Calabria. Arrestato anche il marito della donna, Domenico Nucera, al quale la moglie avrebbe rilevato le informazioni coperte da segreto, apprese negli uffici giudiziari, che sarebbero poi state riferite dall’uomo al fratello Carmelo Salvatore Nucera. Quest’ultimo è stato arrestato con un’altra persona, Giovanni Carlo Remo, per concorso esterno in associazione mafiosa.
I due, secondo l’accusa, avrebbero aiutato e rafforzato le cosche di Santa Caterina assicurandosi la protezione della ‘ndrangheta in relazione all’apertura del bar “Ritrovo Libertà” intestato a Nucera e gestito da quest’ultimo in società di fatto con Remo, “riconoscendo alla ‘ndrangheta – sostengono gli inquirenti – il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato in relazione all’assunzione di alcuni dipendenti “graditi” alle cosche e la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria”.