Padova – La Guardia di Finanza di Padova ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare ed un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emessi dal gip del Tribunale di Vicenza nei confronti dei componenti di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere una pluralità di reati fiscali e di riciclaggio. 6 sono i soggetti arrestati (5 in carcere ed 1 ai domiciliari), mentre per altri 8 è stato disposto l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria.
Gli indagati, cui sono contestati a vario titolo molteplici ipotesi di reato (associazione per delinquere, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, truffa e reato transnazionale), sono invece in tutto 35, tra cui perlopiù soggetti originari delle province di Vicenza e Padova. Disposto anche il sequestro di beni per oltre 1,3 milioni di euro.
A capo del sodalizio smascherato dalle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Padova prima e Vicenza dopo e condotte dal Gruppo delle Fiamme Gialle patavine, che si sono avvalse anche delle risultanze di accertamenti compiuti dall’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Entrate di Vicenza, vi erano il padovano Bruno Antonello (classe ’56) ed il vicentino Massimo Benetti (classe ’60), entrambi oggetto della misura della custodia cautelare in carcere.
I due avevano da tempo capito che non avevano la capacità per fare i commercianti e che potevano guadagnare solo grazie all’Iva e alle fatture, false ovviamente.
Lo stesso Antonello, nel corso di una conversazione intercettata spiegava così il concetto ad uno dei sodali: “… no, ma con il commercio Massimo perde soldi … perderebbe soldi a nastro .. Massimo .. se non facessimo le fatture, il commercio lascia stare, se non facessimo l’Iva, noi con il commercio faremmo danni …”.
Forse per questo Bruno Antonello e Massimo Benetti si erano specializzati nella gestione di molteplici società in Italia e all’estero, per lo più affidate a soci e amministratori di comodo, il cui unico business era quello dell’emissione di fatture false nei confronti di società compiacenti (solitamente attive nel commercio di pellame).
Lo schema delittuoso posto in essere è quello noto delle frodi Iva, nel quale una società “cartiera” (cosiddetto “missing trader”) emette fatture per cessione di beni o prestazioni di servizi mai effettuate, operando per un lasso temporale limitato (circa 12 mesi) e omettendo di adempiere agli obblighi fiscali nei confronti dell’Erario.
Le fatture emesse, gravate di Iva, vengono invece regolarmente contabilizzate dalle società che appaiono acquirenti di beni e servizi, consentendo loro di dedurre costi inesistenti e di compensare l’Iva. Per fornire un’apparenza di effettività al tutto, la società (reale) che beneficia delle fatture false effettua il pagamento dell’operazione inesistente alla “cartiera”, gravato di Iva; la missing trader non versa l’Iva e restituisce alla beneficiaria l’intero imponibile nonché parte dell’Iva corrisposta, al netto del proprio illecito compenso (nel caso di specie il 10% circa).
Le indagini del Gruppo di Padova hanno tra l’altro consentito di ricostruire l’operatività, dal 2009 ad oggi, delle seguenti cartiere: Gi.&Gi. S.r.l. (2009/2010), Petra S.r.l. (2010/2011), Omega Group S.r.l. (2011/2013), Vemar Trade S.r.l. (2013), Gz Trading S.r.l. (dal 2014) e Matane S.r.l.s (dal dicembre 2015). Le stesse sono state usate per emettere fatture false nei confronti di una serie di società (tra cui la Marpell S.r.l., la Imapel S.r.l. e la Bipell s.r.l.), soprattutto venete, per un ammontare complessivo, ancora in fase di esatta quantificazione, di quasi 27 milioni di euro.
Una volta ottenuto il pagamento delle fatture false, le società cartiere provvedevano a bonificare gli importi sui conti di 5 società estere, una con sede in Slovacchia, una in Polonia, una in Ungheria e due nella Repubblica Ceca, tutte gestite dal sodalizio criminale ed aventi la finalità di riciclare i proventi illeciti della frode. Nelle comunicazioni gli interlocutori, per limitare il pericolo derivante da possibili intercettazioni, non utilizzavano direttamente il nome degli istituti di credito ma si riferivano a colori (es. rossa, verde, azzurra) per indicare la banca presso la quale effettuare l’operazione.
Spettava poi sempre al Benetti e all’Antonello recarsi all’estero per ottenere dai sodali la restituzione in contanti del denaro bonificato, per poterlo riportare in Italia ovvero reinvestirlo oltre confine. Il giro di denaro era talmente elevato che uno dei problemi principali era quello delle spazio nelle cassette di sicurezza, che in alcuni casi erano talmente piene di contante da non consentirne di inserirne altro. Nel corso di una conversazione intercettata, ad esempio, Antonello dice al Benetti che nella cassetta di sicurezza della banca di Brno (Repubblica Ceca) ci sono 25 pacchi di banconote da 100 euro e che, per chiuderla, ha dovuto comprimere le mazzette.
Per ricostruire i flussi del denaro ed i frequenti spostamenti all’estero, si sono rivelate fondamentali le intercettazioni ambientali all’interno di due Audi A6, aventi targa polacca, in uso a Antonello e Benetti, sulle quali sono stati installati anche apparati di localizzazione gps, nonché quella audio-video all’interno di un locale adibito ad ufficio ubicato a Montecchio Maggiore (Vicenza). Allo stesso modo, per monitorare le fatturazioni inesistenti, le Fiamme Gialle sono ricorse ad un software installato sui pc, che consentiva di intercettare i files memorizzati sulle pen drive, ogniqualvolta le stesse venivano inserite nel computer stesso.
Parte degli illeciti proventi, quantificati allo stato in oltre 1,3 milioni di euro, sono stati riciclati dall’Antonello attraverso una società di diritto slovacco, proprietaria tra l’altro di 5 mini appartamenti in Slovacchia, la titolarità delle cui quote, nelle more dell’indagine, è stata ceduta alla società di diritto inglese Fespeca Ltd, nonché un trust di diritto inglese. Il Benetti aveva invece aperto in Austria una cassetta di sicurezza a nome della figlia e della moglie.
Nel complesso, l’operazione “Oltre Confine” coordinata dalla Procura della Repubblica di Vicenza, ha consentito di conseguire i seguenti risultati: 5 misure cautelari della custodia in carcere nei confronti di Bruno Antonello, Massimo Benetti nonché di Antonio Giuseppe Castelluccio, Manuel Donatelli e di Monica Gasparovicova, questi ultimi tre referenti di alcune società estere; una misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Adriano Schiratti, consulente fiscale incaricato di risolvere i problemi del gruppo; 8 misure cautelari dell’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria, in tre casi con divieto di espatrio dall’Italia; sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente fino ad un valore di 1.362.194,75 euro dei profitti illeciti che sono stati indebitamente conseguiti dai principali indagati, quale prezzo del reato; sequestro delle utilità di cui i principali indagati non possano giustificare la provenienza, di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato.
Da segnalare che tre delle predette misure cautelari in carcere sono state eseguite in territorio slovacco attraverso apposito Mandato di Arresto Europeo, grazie alla preziosa collaborazione prestata dagli organi collaterali slovacchi, dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia del Ministero dell’Interno e dall’Unità di Cooperazione Giudiziaria dell’Unione Europea (Eurojust).
Contestualmente sono state altresì eseguite oltre 30 perquisizioni locali e domiciliari nei confronti dei soggetti coinvolti.