Roma – Oltre 100 finanzieri del comando provinciale di Roma hanno dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare nei confronti di due imprenditori calabresi, finiti in carcere, e di un appartenente agente della polizia municipale, assegnato ai domiciliari, oltre a numerose perquisizioni in abitazioni e rinomati esercizi commerciali del centro storico.
Otto, complessivamente, gli indagati nell’inchiesta “Tavolino in centro” che ha consentito di disarticolare un gruppo dedito, tra dicembre 2012 ed aprile 2014, alla commissione seriale di episodi corruttivi. Plurime le accuse: concorso in corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio, rilevazione ed utilizzazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo a sistemi informatici/telematici.
Gli investigatori riferiscono di “un totale asservimento” della funzione di alcuni pubblici ufficiali “infedeli” all’interesse di privati imprenditori che avevano importanti attività commerciali nella Capitale. In cambio dell’illecito servizio prestato, abusando dei poteri derivanti dall’incarico ricoperto, il vigile urbano, insieme ad altri appartenenti alla Polizia locale indagati, avrebbe ottenuto promesse e consegne di denaro ed altre utilità a contenuto patrimoniale, quali: “Promessa di assunzione, nella zona di Catanzaro; consegna di casse e bottiglie di vino ed altre regalie, quali ‘ticket restaurant’; pagamento ovvero promesse di pagamento, nonché offerta sistematica di consumazioni presso i locali riconducibili agli imprenditori”.
A fronte di tali ritorni, i pubblici ufficiali infedeli avrebbero, secondo l’accusa: rivelato, in anticipo, agli imprenditori le tempistiche di svolgimento dei controlli presso i loro locali in centro storico, al fine di evitare che le attività ispettive evidenziassero irregolarità, così garantendo l’esito positivo degli stessi accertamenti; bloccato gli accessi ispettivi da svolgere ovvero assicurato che gli stessi controlli fossero operati con “elasticità”; effettuato accessi abusivi alle banche dati informatizzate in uso alle forze di polizia.
L’apparente modesto rilievo delle “utilitas” per gli inquirenti “non deve trarre in inganno”. “In realtà – scrivono nell’ordinanza – attraverso tali sistematiche illecite condotte, gli stessi avrebbero fortemente avvantaggiato gli imprenditori calabresi sia nella fase dell’avvio delle attività commerciali che nella successiva espansione, in danno di onesti concorrenti commerciali”.
Plurimi e diversi i favori concessi: “Si va dall’occupazione di suolo pubblico oltre i limiti – scrivono gli investigatori – allo svolgimento di attività violando le norme in materia di fumi ed emissioni, all’avvantaggiarsi nel poter pubblicizzare la propria attività con cartellonistica non consentita, sino alla più grave e pericolosa esecuzione di lavori su immobili di interesse storico, senza le prescritte autorizzazioni, così potendo determinare anche gravi danni strutturali”.
Gli inquirenti hanno sottolineato anche la propensione a delinquere degli arrestati, “inclini alle forme più violente per relazionarsi con eventuali concorrenti, nonché con soggetti che, a qualsiasi titolo, avrebbero potuto ostacolarli nell’inarrestabile ascesa economica”. Emblematiche alcune intercettazioni. In occasione di un controllo dei vigili per l’occupazione del suolo pubblico, l’imprenditore ed il sodale si interrogavano, rispettivamente, sulla preliminare verifica dell’identità dei “controllori” (“Se si conoscono oppure se chiamiamo a qualcuno…”), allo scopo di intercedere con gli agenti operanti. Una volta saputo che il controllo scaturiva da una segnalazione, convenivano come l’unico modo fosse quello di “minacciare” i segnalanti, per costringerli a tacere.