Dalle 7 alle 23 di domenica 17 aprile gli italiani potranno votare il referendum sulle trivellazioni in mare. Le urne saranno aperte in tutta Italia. Per poter votare occorrerà presentare la tessera elettorale e un documento di identità.
Perché la proposta del referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto, che in tutto contano 51 milioni di persone, e che la maggioranza si esprima con un “sì”.
Hanno diritto di voto tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Il corpo elettorale è composto da 46.732.590 elettori, di cui 22.465.001 uomini e 24.267.589 donne. A questi vanno aggiunti i residenti all’estero (3.898.778), che possono votare per corrispondenza. Sono 61.562 sezioni elettorali del territorio nazionale.
Lo scrutinio dei voti inizierà nella stessa giornata di domenica, subito dopo la chiusura delle votazioni. I risultati saranno pubblicati sul sito del ministero dell’Interno. I dati sull’affluenza verranno resi noti dal Viminale alle ore 12, 19 e 23.
Il testo è stato proposto da nove Regioni, ma a pochi giorni dalla chiamata alle urne c’è ancora molta confusione su cosa prevede effettivamente e sugli effetti che potrà sortire. Molte le polemiche tra i sostenitori del “sì” (chi cioè vuole “fermare” le trivelle) e quelli del “no”, soprattutto in materia di rischi ambientali e ripercussioni sul turismo.
Ecco un quadro completo per prepararsi al voto.
Promotori e sostenitori – Il quesito è stato posto da nove Regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Le associazioni e i comitati ambientalisti che appoggiano il “sì” si oppongono alla strategia energetica del governo. Tra loro ci sono tutte le maggiori organizzazioni ambientaliste: da Legambiente a Greenpeace al Wwf. Da sempre molto attivo il ruolo del comitato “No Triv”.
Cosa si chiede esattamente? – Agli italiani verrà chiesto se vogliono abrogare una norma (il terzo periodo del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’Ambiente) che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all’esaurimento del giacimento, senza limiti di tempo. In altre parole verrà chiesto se, quando scadranno le concessioni, si vuole che vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio.
Le Regioni avevano promosso sei quesiti ma solo uno è stato ammesso dalla Cassazione, visto che gli altri erano stati superati dalle modifiche alla legge di Stabilità. Il referendum riguarda solo le attività già in corso entro le 12 miglia marine dalla costa, non quelle sulla terraferma. Nuove attività entro la stessa distanza sono già state vietate dal codice dell’ambiente. Votando “sì”, si esprime la volontà di abrogare l’attuale norma; votando “no” si manifesta la volontà di mantenere la normativa esistente.
Le concessioni interessate – A oggi nei mari italiani, entro le 12 miglia, sono presenti 35 concessioni di coltivazione di idrocarburi, di cui tre inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (al largo delle coste abruzzesi), 5 non produttive nel 2015. Le restanti 26 concessioni, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi, sono distribuite tra mar Adriatico, mar Ionio e canale di Sicilia. Di queste, 9 concessioni (per 38 piattaforme) sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta; le altre 17 concessioni (per 41 piattaforme) scadranno tra il 2017 e il 2027 e in caso di vittoria del Sì arriveranno comunque a naturale scadenza. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive : 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, quattro nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale davanti alle coste abruzzesi, uno nel mare di Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, uno al largo di Pantelleria.
Come, dove e quando si vota? – Perché sia valido, il referendum dovrà raggiungere il quorum, ovvero la partecipazione del cinquanta per cento più uno degli aventi diritto. Si vota in tutta Italia, e non solo nelle Regioni che hanno posto il quesito, domenica 17 aprile dalle 7 alle 23. La data è stata decretata dal Consiglio dei ministri che ha suscitato polemiche tra i sostenitori del “sì” per il mancato accorpamento del referendum alla tornata amministrativa di fine primavera. Per partecipare i cittadini italiani che hanno compiuto il 18esimo anno di età dovranno recarsi nel proprio seggio di appartenenza con tessera elettorale e documento di identità. Per la prima volta potrà partecipare anche chi risiede temporaneamente all’estero, con una consultazione per corrispondenza organizzata dagli uffici consolari.
Se vince il “sì” – Una vittoria del “sì” obbligherebbe le attività petrolifere a cessare progressivamente la loro attività secondo la scadenza “naturale” fissata originariamente al momento del rilascio delle concessioni, al di là delle condizioni del giacimento. Lo stop, quindi, non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Se passa il “sì”, inoltre, si potranno comunque ancora cercare ed estrarre idrocarburi al di là delle 12 miglia e sulla terraferma.
Se vince il “no” (o non si raggiunge il quorum) – Con il “no” o il mancato raggiungimento del quorum le attività di ricerca ed estrazione non avrebbero una data di scadenza certa, ma potrebbero proseguire fino all’esaurimento dei giacimenti interessati. Le concessioni attualmente in essere avevano una durata di trent’anni con la possibilità di due successive proroghe, di dieci e di cinque anni. Con una modifica apportata al testo in materia dall’ultima legge di Stabilità potrebbero però rimanere “per la durata di vita utile del giacimento”. Con il “no” questa possibilità rimarrebbe, ovviamente nel rispetto delle valutazioni di impatto ambientale che andranno in ogni caso fatte in caso di richiesta di rinnovo.
Le ragioni del “sì” – I comitati per il Sì ammettono che per una serie di ragioni tecniche è impossibile che in Italia si verifichi un disastro come quello avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico, quando una piattaforma esplose liberando nell’oceano 780 milioni di litri di greggio. A preoccupare sono le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo provocato dal catrame. Secondo un’indagine dell’Ispra, inoltre, il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive presenta sedimenti con livelli di inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie.
Le ragioni del “no” – Chi si oppone al referendum, tra cui il comitato “Ottimisti e Razionali”, costituito da soggetti provenienti soprattutto dal mondo delle imprese, afferma che ridurre l’estrazione di idrocarburi dai nostri giacimenti comporta maggiori importazioni. Oltre all’impatto negativo sull’economia, sul versante ambientale aumenterebbe il numero di petroliere in transito nei mari italiani, con evidenti conseguenze in termini di inquinamento. L’estrazione del gas, maggiore rispetto a quella del petrolio, è sicura e non danneggia l’ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
Le isole Tremiti sono in pericolo? – Non sono previste estrazioni di idrocarburi nel Mar Adriatico. Tuttavia una compagnia irlandese, la Petroceltic, ha ottenuto il permesso di poter cercare in futuro eventuali giacimenti in acque internazionali, quindi oltre le 12 miglia dalla costa molisana e dalle isole Tremiti. La procedura per rendere attive le prospezioni nei fondali è però molto complessa: essa prevede una valutazione ambientale ufficiale e una nuova autorizzazione.