E’ “Julieta” di Pedro Almodòvar a conquistare il pubblico del Festival di Cannes: al centro della storia, una madre distrutta dai sensi di colpa per l’allontanamento volontario della figlia.
Una pellicola quella del regista spagnolo che segna il ritorno ai personaggi che hanno caratterizzato la sua storia cinematografica, anche se confessa di aver realizzato il suo melò “più sobrio”. Al centro della pellicola con protagoniste Adriana Ugarte e Emma Suàrez (nei panni entrambe di Julieta, la prima giovane, la seconda matura) – che uscirà in Italia il 26 maggio – c’è il dolore di una madre che non rivede da anni la figlia Antía. Tratto da alcuni episodi del libro “Runaway” della scrittrice canadese Alice Munro, il film doveva essere realizzato inizialmente in America, ma il regista ha poi cambiato idea ambientandolo in Spagna.
“Anche in questo lavoro per me è stato importante raccontare una storia – spiega Almodovar – Mi sono identificato come sempre nei personaggi. Ecco perché non voglio biografie o biopic. La mia vita è già nelle mie pellicole”. Per il regista è la prima uscita pubblica dopo essere rimasto coinvolto, insieme al fratello Augustin suo produttore, nel caso Panama Papers: “Se fosse un film saremmo solo delle comparse e invece per la stampa spagnola siamo diventati i protagonisti”.
“Ogni film – dice ancora il regista – è lo specchio della vita interiore. Il mio cinema invecchia insieme a me”.Pedro Amodòvar descrive la protagonista della sua storia come una madre abbandonata a se stessa, “che si dà la colpa” per l’allontanamento della figlia. Una donna vulnerabile, completamente differente da quelle eroine fonte di forza dei suoi procedenti film.
“Le madri dei miei film precedenti erano eroine piene di forza. Come lo sono state le donne nella mia vita, che hanno vissuto negli anni 50 e hanno dovuto lottare. Mia madre era costretta a vestire di nero. Anche quando sono stato concepito. Forse per reazione, il mio immaginario è sempre stato in Technicolor”.