“Levate mano o vi faccio ammazzare”, il clan che terrorizzava le imprese aversane

di Nicola Rosselli

Gli arrestati nell’operazione anticamorra compiuta ieri mattina dai carabinieri di Aversa (leggi qui), che ha sgominato un gruppo legato al clan Bidognetti dedito alle estorsioni a commercianti e imprenditori dell’agro aversano, nelle intercettazioni parlano di soldi, di estorsioni, di pagamento degli onorari degli avvocati anche durante le visite in carcere, ma, soprattutto minacciano le vittime senza tregua, come quando intimano agli operai impegnati su un cantiere pubblico per un appalto di tre milioni e mezzo di euro per la realizzazione di opere di recupero urbano in via Provinciale delle Dune a Villa Literno di andare immediatamente via dal cantiere.

“Levate mano tra un minuto, mo mo, se non levate mano tra cinque minuti vengo e vi faccio ammazzare”. E’ questa, come raccontato da diversi operai presenti sul cantiere, la minaccia accompagnata da un altro avvertimento “riferisci al tuo principale che deve portare i soldi a Casale altrimenti vi conviene non scendere a lavorare”.

Stessa scena in un cantiere per la realizzazione di sei appartamenti a Parete. Lavori che l’imprenditore sta effettuando su un terreno di famiglia, per cui sono formalmente della sua famiglia. Ma questo non impedisce ai presunti camorristi, come da “listino”, di avanzare una richiesta di mille euro ad appartamento. Si presentano in due sul cantiere e, dopo essersi fatto dire chi è il proprietario, gli dicono: “Siamo stati mandati da Casale e ci devi dare seimila euro per i carcerati dai lavori che stai realizzando”.

Ad essere letteralmente tartassata una ditta per le installazione delle luminarie in occasione delle festività dei santi patroni o del Natale. Ditta con sede a Lusciano, ma nota in tutto l’Agro Aversano e nel napoletano. Uno dei presunti estorsori si sarebbe più volte presentato sotto l’abitazione del titolare costringendolo a presentarsi ad un appuntamento con un fantomatico “Mister” di Lusciano, ritenuto il “masto” in quell’ambito territoriale. Appuntamento al quale non si presentò, però, nessuno, forse per timore di un agguato che potrebbero avergli teso le forze dell’ordine.

Colpisce, in maniera positiva, anche la fiducia di alcune delle vittime per le forze dell’ordine. Uno degli estorti, infatti, in un’intercettazione ambientale, dopo aver subito una richiesta estorsiva, parlando con un collega, afferma: “Mi hanno messo storto. Qua non è proprio più di faticare. Ad avere a che fare con questa gente di merda”. “E per mezzo della gente di merda non dobbiamo faticare? Com’è questo fatto? Noi la mattina usciamo per andare a faticare, mica usciamo per andare a rubare”. “Comunque risponde la vittima – io adesso ho pensato quasi di andarli a denunziare”. “Ma, secondo me, – conclude l’interlocutore – io ti direi di parlare con il comandante, il comandante dei carabinieri di Parete che è bravo, è una persona seria, una persona che aiuta”.

Ad un rivenditore di laterizi di Parete chiedono merce. “Ci devi fare un regalo” chiedono gli emissari e si fanno portare sino ad un cantiere tre balle di tavelle.

Francesco Chianese, il personaggio principale di questa vicenda, ha avuto anche un momento di celebrità quando, nello scorso mese di novembre, fu intervistato dalla trasmissione di Rai Tre “Report” (guarda qui) nell’ambito di un’inchiesta per traffico internazionale di armi che vedeva coinvolto anche un ex terrorista nero. Intervista attraverso la quale cercava di far sapere che era un uomo dei servizi. Tesi che, ovviamente, non ha mai trovato riscontro se non quello di far considerare l’arrestato come una persona particolare, non sempre credibile e stabile psicologicamente.

Le indagini hanno accertato che l’organizzazione camorristica aveva disponibilità di armi, veicoli noleggiati, schede telefoniche pulite perché intestate a persone fittizie o inesistenti, utilizzate esclusivamente per comunicare tra gli indagati, in modo da non poter essere oggetto di intercettazioni accidentali, perché non utilizzati per telefonate a terze persone. I militari aversani avevano posto anche delle telecamere presso i luoghi dove, anche più volte al giorno, si incontravano alcuni degli arrestati, in particolare Bartolomeo Vitiello, con elementi di primo piano del clan dei casalesi, tra cui: Bernardo Ciervo, Nicola Della Corte e Bartolomeo Cacciapuoti. Il referente massimo era Nicola Schiavone, noto come “Nick a’ barba”, figlio di Francesco, alias “Sandokan”.

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