Aversa, Giunta in stallo: le quote rosa sono un falso problema…

di Antonio Arduino

Aversa – Quello delle quote rosa da applicare nella formazione della giunta addotto come motivo del ritardo con cui si sta formando l’esecutivo è un falso problema. La realtà è che la mancata formazione del nuovo esecutivo è legata alla giustificata volontà del sindaco di non crearsi problemi con i componenti della coalizione che lo ha sostenuto e che oggi gli stanno presentando il conto.

Un conto fatto di nomi di esponenti politici che, avendo conquistato lo scranno nell’Assise con alcune centinaia di preferenze, pretendono un posto in giunta o il ruolo di presidente del Consiglio meritato per avere portato voti decisivi per vincere il ballottaggio. Stessa cosa per gli esponenti politici che hanno orchestrato o, se più vi piace, organizzato la formazione delle liste rappresentandone poi i coordinatori e, come tali, pretendono un ruolo determinante nella prossima amministrazione pur non avendoci messo la faccia, indicando il proprio nome nelle liste, per non rischiare la bocciatura degli elettori, così come accaduto per il candidato sindaco  Mariano D’Amore, sostenuto da quella che doveva essere una coalizione nata accanto alla lista “Ci siamo” che non ha ottenuto il via libera agli elettori neppure come consigliere comunale.

Gli altri, da politici navigati che si sono definiti coordinatori delle liste associate alla coalizione sponsorizzante De Cristofaro, avendo ottenuto almeno un consigliere eletto, oggi pretendano che il neo sindaco rispetti gli impegni assunti.

Da qui la necessità di trovare una scusa per giustificare il ritardo nella formazione della giunta ma è una scusa che non regge. Perché basta navigare su Internet per leggere numerose sentenze del Tar che affermano inequivocabilmente che “non esiste una soglia minima di rappresentanza femminile all’interno degli organi politici non elettivi” quale è una giunta comunale. “Tar Lombardia, sez. I, del 4 febbraio 2011” ha affermato che “il principio di pari opportunità, promosso dalle fonti nazionali e comunitarie, impone di garantire la rappresentanza di genere, ma non comporta una riserva al genere femminile del 50% dei posti, né impone una percentuale minima di rappresentanza”. Aggiungendo che “imporre una quota rosa minima” violerebbe i principi della libertà e della responsabilità politica nella scelta dei componenti degli organi non elettivi, che costituiscono valori costituzionalmente garantiti, e non permetterebbe di compiere scelte che tengano conto adeguatamente della capacità, dalla professionalità e attitudine a svolgere funzioni di gestione della cosa pubblica. Di conseguenza, non può ritenersi di per sé illegittima la composizione di una giunta con un solo assessore di sesso femminile”.

Dunque, se proprio si vuole ottemperare al principio della parità di genere basterebbe la presenza in giunta di un solo componente di sesso femminile. Ma potrebbe anche non esserci alcuna donna nell’esecutivo se il primo cittadino potesse dimostrare di non avere trovato nessun elemento di sesso femminile dotato delle competenze da lui ritenute specifiche per adempiere ai compiti connessi all’incarico di assessore.

Un concetto che è stato espresso da sentenze del Tar Sardegna (Sez. II, 2 agosto 2011, n. 864), del Tar Lombardia– Brescia (1/2012); del Tar Lazio, Roma (Sez. II, 20 gennaio 2012, n. 679).

Lo stallo nella formazione della giunta dovuto alle quote rosa, pertanto, lo ribadiamo, è semplicemente un falso problema che il sindaco potrebbe risolvere subito se volesse dare prova d’indipendenza dai partiti e di apparentamento solo con la città. Una motivazione dello stallo alla quale dovrebbero “ribellarsi” le donne che intendono fare politica perché, a mio confutabile parere, vengono utilizzate ancora una volta dai colleghi di sesso maschile come oggetto di scambio.

E dovrebbero “ribellarsi” anche alla legge che impone le quote rosa in politica per garantire la presenza di un numero minimo di donne nelle rappresentanze elettive, vale a dire consigli comunali, provinciali, regionali, parlamento, perché le donne in politica ci sono sempre state fin dall’epoca della costituente. Nel 1946, quindi molto prima della legge sulle quote rosa, nell’Assemblea Costituente c’erano 21 donne, pari al 3,7% dei componenti, nove comuniste (Adele Bei, Nadia Gallico Spano, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce Longo, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), nove democristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), due socialiste (Bianca Bianchi e Angelina Merlin), una dell’Uomo Qualunque (Ottavia Penna Buscemi).

Donne che per fare politica non hanno avuto necessità di essere “agevolate” da alcuna legge, perché le donne se decidono di fare qualche cosa non si fermano davanti agli ostacoli e non hanno bisogno di spinte. Chi vale trova lo spazio giusto per farsi valere, Del resto la donna ha sempre fatto fare all’uomo quello che lei voleva, facendogli credere di essere stato lui, l’uomo, a pensare di volerlo fare.

L’elenco di donne che hanno cambiato il mondo è lungo, due per tutte Eva, che disse ad Adamo di mangiare la mela, e la Vergine Maria, che impose a suo figlio Gesù di cambiare l’acqua in vino alle nozze di Cana.

Naturalmente, se si vuole vincere facile meglio farsi scudo della legge sulle quote rosa che giustifica anche l’apparente (forse) debolezza del primo cittadino che ha sempre dichiarato di “avere in mente la giunta” giusta per la città.

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