Pallavolo, finte sponsorizzazioni: scoperta frode fiscale milionaria

di Redazione

Forlì – La Guardia di Finanza di Forlì ha concluso un’indagine economico-finanziaria nei confronti di quattro società operanti nel settore delle sponsorizzazioni che hanno procurato un’evasione per oltre 36 milioni di euro.

Le società, con sede a Forlì, Cesena e Rimini gestivano gli spazi pubblicitari in occasione delle partite casalinghe di una società marchigiana di pallavolo femminile militante nel campionato di serie A1.
Il sistema di frode individuato dai finanzieri forlivesi, si fondava sul ricorso a fatture per operazioni inesistenti o fatture “gonfiate” emesse dalle società verificate nei confronti degli sponsor.

Nel corso delle indagini, iniziate nel 2014 sotto la direzione della Procura di Forlì, nelle persone del procuratore Sergio Sottani e del sostituto Michela Guidi, sono state eseguite perquisizioni in diverse località del territorio nazionale tra le quali, oltre a Forlì, anche Cesena, Ravenna, Rimini, Bari e Cosenza ponendo sotto sequestro copiosa documentazione, computer, tablet e supporti informatici. Proprio dalla analisi di quest’ultimi, anche recuperando file nascosti o cancellati, i militari della Guardia di Finanza hanno posto fine all’ormai collaudato sistema di evasione.

Dalle indagini è emerso come nel lontano 2009 il Presidente della società di pallavolo marchigiana aveva acquistato il titolo per partecipare al campionato di serie A1 da un imprenditore pugliese operante nel campo della gestione dei rifiuti, cedendo in cambio il diritto alla gestione degli spazi pubblicitari.

Da allora l’imprenditore barese (M.C., 67 anni) aveva organizzato un ingegnoso sistema di frode creando le società di gestione degli spazi pubblicitari ed intestandole a prestanome nullatenenti senza mai figurare in nessuna di esse. Per ostacolare le attività dell’Amministrazione Finanziaria, inoltre, le società venivano fatte subentrare l’una all’altra creando ogni 2/3 anni la nuova avente lo stesso oggetto sociale della precedente dalla quale acquisiva il pacchetto degli sponsor ed il diritto alla gestione degli spazi pubblicitari.

A cambiare era solo il nome del rappresentante della società, il prestanome di turno nullatenente. Con questo modus operandi la vecchia società veniva destinata all’oblio con milioni di euro di debiti verso lo Stato che non sarebbero mai stai recuperati.

A conferma della falsità delle operazioni che hanno consentito evasioni milionarie, le Fiamme Gialle hanno tra l’altro dimostrato l’enorme differenza tra il valore di mercato delle sponsorizzazioni e il prezzo che arrivavano a pagare gli sponsor. Un cartellone pubblicitario durante una partita di volley, ad esempio, generalmente ceduto a cifre intorno ai 2mila euro veniva pagato dagli sponsor fino a 50mila e dunque con una maggiorazione del 2.500%. In alcuni casi venivano acquistati dei generici “pacchetti” stagionali di spazi pubblicitari per delle cifre che superavano i 500mila euro.

Dall’analisi delle movimentazioni bancarie e delle centinaia di assegni acquisiti è emerso come gli importi fatturati venivano regolarmente pagati tramite bonifici, titoli di credito o altri mezzi di pagamento “tracciabili”, allo scopo di dare una parvenza di regolarità dell’operazione.

Le somme di denaro però subito dopo essere state accreditate “sparivano” immediatamente dai conti correnti attraverso prelevamenti in contanti o girate di assegni. Le fatture emesse consentivano agli sponsor di annotare in contabilità fatture di costo per oltre 19 milioni di euro e così abbattere notevolmente l’imponibile da tassare e l’Iva da versare nelle casse dello Stato.

Gli sponsor, che sulla carta versavano centinaia di migliaia di euro per gli spazi pubblicitari, sono risultati per lo più operanti in Puglia, a centinaia di chilometri dal Palazzetto dello Sport presso il quale si disputavano le partite e molte di queste società, paradossalmente, pur essendo in perdita pagavano centinaia di migliaia di euro per ottenere lo spazio pubblicitario.

La totale anti economicità dell’operazione è stata l’elemento cardine su cui si sono fondate le contestazioni. Complessivamente per gli anni dal 2009 al 2015 sono state contestate fatture false per circa 19 milioni di euro, redditi non dichiarati per oltre 12 milioni di euro ed oltre 5 milioni di Iva evasa.

Al termine delle indagini sono stati denunciati sette soggetti in concorso tra loro per i reati di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione e omesso versamento di Iva, reati puniti con una pena fino a 6 anni di reclusione.

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