Turchia, la vendetta di Erdogan contro i golpisti: epurazioni e rastrellamenti

di Redazione

Congiurati, soldati, giudici e adesso anche poliziotti, prefetti e dipendenti pubblici. Non si ferma la reazione del presidente Recep Tayyip Erdogan, che dopo il  fallito colpo di Stato andato in onda nella notte di venerdì sta mettendo in campo un vero e proprio “contro golpe” fatto di epurazioni e rastrellamenti.

Nella notte, infatti,  7.850 agenti di polizia sono stati sospesi dai loro compiti e costretti a riconsegnare armi e distintivi. La decisione, cui potrebbero seguire arresti, è stata comunicata ai dipartimenti locali dal capo della polizia, Mehmet Celalettin Lekesiz.

Non solo. Perché l’ostracismo ha colpito anche 30 degli 81 prefetti che lavorano nel Paese, più 47 governatori di distretti provinciali e 614 gendarmi: in totale dunque sono 8.777 i dipendenti del ministero dell’Interno che sono stati sollevati dall’incarico. Già nel day after del putsch, era stato ordinato l’arresto di tremila militari, considerati autori del colpo di Stato, e il fermo di 2.745 magistrati, già rimossi dai loro incarichi perché ritenuti fedeli a Fethullah Gülen, l’imam e magnate in esilio negli Usa accusato di essere lo stratega del fallito golpe e di cui Ankara ha chiesto l’estradizione. In totale il numero delle persone arrestate fino a questo momento è di 7.543: tra questi almeno seimila militari.

Adesso, però, la purga di Erdogan colpisce anche la polizia, e cioè la forza di sicurezza che nella notte del fallito colpo di Stato sembrava essere quella più fedele al presidente. Decine le immagini diffuse dalle tv turche in cui agenti di polizia arrestano militari golpisti, mettendo fine al tentato colpo di Stato.

Evidentemente, però, le epurazioni del “Sultano” non si fermano: nella notte altre 99 persone sono state arrestate ad Ankara. Tra questi ci sarebbe anche il generale di brigata Hakan Evrim, mentre Mikael Ihsanoglu, attachè militare turco in Kuwait, è stato arrestato su richiesta di Ankara in Arabia Saudita, nell’aeroporto di Damam: si stava dirigendo in Germania. Una fonte militare, poi, ha raccontato che anche alcuni alti ufficiali dell’esercito, coinvolti nel fallito golpe, sono già fuggiti all’estero. In totale, finora, i generali e gli ammiragli dell’esercito finiti in manette sono 103, e cioè quasi un terzo del totale degli ufficiali con questi gradi militari in Turchia.

Nel frattempo tra Ankara e Istanbul continuano i rastrellamenti in un clima di vera e propria repressione: una ventina di portali di notizie e siti web è stata messa al bando, mentre circa 1.800 agenti delle forze speciali di polizia sono arrivati di rinforzo dalle province, per pattugliare le due città principali del Paese. Il capo della polizia di Istanbul, Mustafa Caliskan, ha avuto  l’ordine di abbattere qualsiasi elicottero in volo senza autorizzazione sopra la città.

Il presidente Erdogan, invece, ha ordinato ai caccia F 16 dell’esercito di sorvolare continuamente i centri urbani della Turchia: come se la minaccia del golpe non fosse ancora esaurita. In effetti, lunedì mattina un uomo in uniforme militare ha sparato di fronte al tribunale di Ankara, per poi essere arrestato. Al momento dell’incidente, in tribunale si trovavano 27 generali accusati di responsabilità nel fallito golpe.  E dopo che ieri lo stesso Erdogan aveva detto che il popolo “non lascerà le piazze”, oggi è stato il ministro della Difesa turco, Fikri Isik, ad arringare i manifestanti filogovernativi riuniti davanti alla residenza presidenziale a Istanbul: “Seguite ogni dichiarazione del presidente rimanere nelle piazze fin quando il presidente non dirà: Ok, ora potete tornare a casa”.

Sempre ieri, il dibattito turco è stato infiammato dalle dichiarazioni di Erdogan, che per la prima volta ha evocato direttamente il ritorno della pena di morte nel Paese. “Non possiamo ignorare questa richiesta dei cittadini”, ha detto il presidente aggiungendo che l’ipotesi di punire con la pena di morte i congiurati sarebbe stata discussa con l’opposizione. Oggi, dunque, ecco la risposta di Ayhan Bilgen, portavoce del Partito democratico del popolo turco che ha annunciato che “non appoggerà” nessuna proposta in Parlamento per la reintroduzione della pena capitale, dopo il fallito golpe. Bilgen ha peraltro fatto notare come nessuna legge può essere applicata in modo retroattivo.

Pollice verso sull’ipotesi del ritorno della pena di morte anche da parte di Federica Mogherini, rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri, che ha spiegato come “nessun Paese che introduce la pena capitale può entrare nell’Ue”. Nello stesso senso la dichiarazione Steffen Seibert, portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel: “Siamo categoricamente contro la pena di morte. Un Paese che la pratica non può essere membro della Ue”.  Da Berlino si sono espressi anche sugli episodi di “rastrellamento” messi in atto nelle ore post golpe. “Abbiamo visto nelle prime ore dopo il fallimento del golpe – ha detto Seibert – scene raccapriccianti di arbitrio e di vendetta contro i soldati in mezzo alla strada. Un simile fatto è inaccettabile”. La replica di Ankara è arrivata a stretto giro di posta. “Il desiderio della pena di morte espresso dai nostri cittadini per noi è un ordine, ma prendere una decisione affrettata sarebbe sbagliata”, ha detto il premier turco Binali Yildirim.

Intanto, dopo che nei giorni scorsi Ankara era entrata in rotta di collisione con gli Stati Uniti sul tema dell’estradizione di Gulen, oggi il segretario di Stato americano John Kerry torna a spiegare che il suo Paese non ha interesse ad ostacolare” l’eventuale consegna di quello che è considerato il nemico numero uno di Erdogan. Finora però – ha continuato Kerry – non è arrivata “né la richiesta formale né le prove” per l’estradizione. Il segretario di Stato ha nuovamente ribadito che “la richiesta formale deve arrivare tramite i canali legali” e di aver “detto al collega turco che ci mandino vere prove, non accuse: dobbiamo vedere vere prove che reggano nel giudizio per l’estradizione”. Kerry ha inoltre ribadito che gli Stati Uniti sono disponibili “a portare alla giustizia i responsabili del tentativo di colpo di Stato”, chiedendo però “al governo della Turchia di rispettare i massimi standard di rispetto delle istituzioni democratiche e lo stato di diritto”. Come dire che al netto del caso Gulen, il contro golpe di Erdogan gode di massima attenzione a Washington, come a Berlino. Nel frattempo l’account Twitter di Wikileaks promette:  “Preparatevi per uno scontro perché pubblicheremo oltre 100 mila documenti sulla struttura del potere politico della Turchia”.

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