“Ancora oggi vi supplico, vi imploro, ripetete l’esame del Dna, perché quel Dna trovato non è il mio”. Così Massimo Bossetti, nelle sue dichiarazioni spontanee prima della Camera di consiglio per la sentenza per l’omicidio di Yara Gambirasio, aveva ribadito la sua innocenza. Ma venerdì sera è giunto il verdetto: la condanna all’ergastolo. A deciderlo i giudici della corte d’assise di Bergamo, presieduta da Antonella Bertoja, dopo dieci ore di camera di consiglio. Si erano ritirati in mattinata, verso le ore 10.
Erano tre le possibili ipotesi: ergastolo con isolamento diurno per sei mesi come chiesto dal pm Letizia Ruggeri, una condanna “ammorbidita” da possibili attenuanti per il muratore incensurato o l’assoluzione.
Il processo a Bossetti era iniziato un anno fa, il 3 luglio del 2015, ed è durato 45 udienze. Il pm Ruggeri, che ha chiesto l’ergastolo con isolamento diurno, ha costruito la sua accusa sua una serie di indizi e su quella che viene considerata la prova regina ovvero il Dna dell’imputato trovato mescolato al materiale genetico della vittima sui leggins e sugli slip. La ripetizione sul materiale genetico sarebbe stato impossibile perché il campione non è più utilizzabile. Il cadavere della vittima fu esposto per tre mesi alle intemperie.
Il gip che decise più volte che Massimo Bossetti dovesse rimanere in carcere, Ezia Maccora, aveva definita “ottima” la prova del Dna. Nel fascicolo processuale è la 31G20 ed il cuore della memoria depositata questa mattina dalla difesa. È attraverso questa che si è risalito prima a Ignoto 1,in seguito all’autista di autobus scomparso nel 1999, Giuseppe Guerinoni e alla madre di Bossetti, Ester Arzuffi, che ha sempre negato relazioni extraconiugali.
La difesa contestava la mancata corrispondenza tra il Dna nucleare, attribuito a Bossetti, e quello mitocondriale nella traccia la cui appartenenza non è stato possibile stabilire, il giudice Maccora era stato tranciante e così l’accusa e parti civili nel corso del processo: “Quel che conta è il Dna nucleare, che, stando agli esami scientifici, è di Bossetti, e non quello mitocondriale”. Sul Dna è stata battaglia. I difensori di Bossetti e il loro consulente l’hanno definito “una mezza traccia” e “forse contaminata” durante i procedimenti di conservazione e di analisi. “Più anomalie che marcatori”, hanno detto Claudio Salvagni e Paolo Camporini.“Uno e perfetto”, ha risposto il pm. La Corte, dopo la conclusione del dibattimento, aveva respinto la richiesta in extremis di una perizia sul Dna perché “ogni ulteriore accertamento” appariva “superfluo” per la decisione.
Anche l’analisi delle celle telefoniche ha costituito un punto di forza per l’accusa. Il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è alle 17.45, orario compatibile con la sparizione della ragazza. Bossetti era quindi nella zona della palestra di Brembate di Sopra in cui Yara era andata per portare un impianto stereo per la ginnastica ritmica. Il suo telefono – sottolinea l’accusa – non genera traffico fino alle 7.34 del giorno dopo. Per la difesa, Bossetti era solito fare quella strada tornando dal lavoro. Il dato per i legali del muratore non è in alcun modo significativo.
Secondo gli accertamenti del Ris e del Ros dei carabinieri, è quello di Bossetti il furgone bianco che viene immortalato sette volte nelle immagini delle telecamere di sorveglianza della zona intorno alla palestra in orario compatibile con la scomparsa di Yara. Secondo il consulente della difesa, tacciato di “malafede e approssimazione” dal pm, quel furgone non è suo. Dalle accuse dei difensori di aver confezionato un video “tarocco” dei quelle immagini (era un video destinato alla stampa, quindi non aveva valore processuale) è scaturito un procedimento a carico di giornalisti su iniziativa del comandante del Ris Giampietro Lago.
Sul corpo di Yara sono state trovate delle fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti e delle sferette metalliche che portano a qualcuno che lavora “nel mondo dell’edilizia”. Dati insignificanti per la difesa, mente il pm ha più volte detto che tutti gli indizi vanno valutati nel loro insieme, quindi anche in relazione al Dna.
Ci sono poi le incongruenze nel racconto di Bossetti. Il muratore ha ipotizzato che quel 26 novembre dl 2010, dopo essere stato al lavoro, poteva essere andato dalla commercialista, poi da un meccanico, e a comperare le figurine per i figli come era solito fare tornando dal lavoro. Nessuno, però, quel giorno, ricorda di averlo visto e Bossetti ha dato una sua spiegazione: “Qui mentono tutti”. Nel corso del processo il pm ha evidenziato una serie di ricerche a sfondo pornografico trovate nei computer di casa di Bossetti, alcune riferite a tredicenni la stessa età di Yara quando morì. Ricerche che non significano nulla per la difesa, anche perché di molto successive alla sparizione della ragazza e delle quali la moglie di Bossetti, Marita Comi, si è in parte assunta la responsabilità.
“Sarò uno stupido – aveva proseguito -, sarò un cretino, sarò un ignorantone ma non sono un assassino: questo deve essere chiaro a tutti”. “Quello che mi viene attribuito è vergognoso, molto vergognoso. – aveva detto Bossetti rivolto ai giudici della Corte d’Assise di Bergamo – Non vedevo il momento di poter parlare non vedevo l’ora di potervi guardare negli occhi per spiegarvi che persona sono, che non è quella che è stata descritta da tanti in quest’aula”. In tribunale sua moglie, Marita Comi, e la sua sorella gemella, Laura Letizia.
“Sarei felice di incontrare i genitori della piccola Yara, di guadarli negli occhi perché conoscendomi saprebbero che l’assassino è ancora in libertà”, aveva affermato Bossetti, sottolineando: “Anche loro sono vittime di chi non ha saputo trovare il colpevole”. “E’ impossibile, molto difficile assolvere Massimo Bossetti, ma se mi condannerete sarà il più grave errore del secolo”, aveva dichiarato ancora il muratore di Mapello. Bossetti, che indossava una polo azzurra e jeans e parlava dal banco, ha quindi ribadito: “Non sono un assassino”.
Nel corso delle sue dichiarazioni spontanee Bossetti, oltre a ripetere più volte di essere “una persona di cuore” che viveva soltanto “per mia moglie e per i miei figli”, ha voluto anche raccontare “un episodio” per descriversi, spiegando di aver “adottato a distanza” un bimbo di una famiglia in Messico. “Mi sono sentito gratificato perché il mio aiuto si è reso utile e ho dato la possibilità a un bambino di proseguire gli studi come vorrebbero tutti per i propri figli”, ha aggiunto Bossetti, parlando davanti ai giudici.
Più volte, poi, il muratore di Mapello ha detto di essere stato “insultato, denigrato e anche istigato a confessare qualcosa che non potevo confessare, perché io non sono la persona che è stata dipinta in quest’aula”. Al termine delle dichiarazioni ha detto che lui sta “già subendo un ergastolo, due anni di vita rovinata”, spiegando anche che “accetterò il verdetto qualunque esso sia perché pronunciato in assoluta buona fede”.