Beni e denaro per oltre sei milioni di euro: a tanto ammonta il sequestro delle fiamme gialle alla famiglia di Ezio Brancato, socio di Vito Ciancimino nelle società che si erano occupate, a cavallo degli anni ’80 e ’90, della realizzazione della rete di metanizzazione della Sicilia oltre che della distribuzione del gas a Palermo.
I provvedimenti messi in atto sono stati due: il primo sequestro è avvenuto nel Principato di Andorra, dove sono stati trovati depositi per quasi un milione e quattrocentomila euro, oltre a cassette di sicurezza che contenevano 90mila euro in contanti e gioielli per un valore di circa 70mila euro. Le indagini hanno individuato disponibilità sfuggite all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale disposta dal Tribunale di Palermo nei confronti degli eredi Brancato già nel maggio del 2013.
A suo tempo le fiamme gialle palermitane avevano consentito di accertare che l’attività imprenditoriale di Ezio Brancato, socio del Gruppo GAS di Palermo, era stata controllata costantemente e favorita illecitamente da Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. Sulla base delle informazioni scambiate tra la Guardia di Finanza e la polizia andorrana, per il tramite dell’ufficiale di collegamento del Corpo presso l’Ambasciata d’Italia a Madrid (Spagna), sono state parallelamente avviate indagini nei confronti della famiglia Brancato, per il reato di “trasferimento fraudolento di valori” in Italia e per “riciclaggio” nel Principato.
Il secondo provvedimento di sequestro è stato applicato nei confronti della moglie e delle figlie di Ezio Brancato su disponibilità finanziarie pari a circa 4.700.000 euro, riguardanti – afferma la Guardia di Finanza – operazioni economiche avvenute fra quest’ultimo e Gianni Lapis, noto prestanome di Vito Ciancimino, oltre a beni immobili, valutati complessivamente in 500.000 euro, tra i quali figurano un appartamento di Palermo e quattro terreni siti tra i comuni di Balestrate e Partinico.
La società di metanizzazione Gas, che tra gli anni ’80 e gli anni ’90 ha consentito affari miliardari all’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, è stata formalmente costituita da un funzionario regionale, Ezio Brancato, ritenuto dagli inquirenti socio occulto di Ciancimino. Da anni al centro di indagini che hanno coinvolto i familiari di Brancato, che è morto nel 2000, è tornata all’attenzione delle Fiamme Gialle che hanno sequestrato ad Andorra, nel corso di un’inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo, beni per un milione e mezzo agli eredi di Brancato.
Moglie e figlie di Brancato, a cui nel 2013 furono sequestrati beni per 48 milioni incassati dalla vendita della Gas, avrebbero cercato di evitare il sequestro di gioielli e soldi trasferendoli nel Principato. Per gli inquirenti la Gas, che sarebbe stata sostenuta e appoggiata anche dal boss Bernardo Provenzano, sarebbe stata lo snodo di un giro di tangenti a politici siciliani.
Socio occulto dell’imprenditore era Vito Ciancimino mentre le quote azionarie erano divise tra lo stesso Brancato e il tributarista Giovanni Lapis, poi arrestato e condannato per avere riciclato nel gruppo parte del “tesoro” miliardario di Ciancimino. Utilizzando appoggi politici e mafiosi, la società si è sviluppata fino a ottenere 72 concessioni per la metanizzazione di comuni della Sicilia e dell’Abruzzo.
Tra il 2003 e il 2004 l’azienda è stata ceduta a una holding spagnola, la Gas natural, per 115 milioni di euro. L’operazione sarebbe stata favorita, come ha ammesso Massimo Ciancimino subentrato al padre, dalla distribuzione di tangenti a politici siciliani. Dall’inchiesta affiorarono i nomi degli ex ministri Saverio Romano e Carlo Vizzini e dell’ex assessore regionale Salvatore Cintola (poi morto). La Procura di Palermo ha ipotizzato il pagamento di tangenti legate alla concessione di appalti che avevano fatto crescere il valore della società Gas.
Altre sarebbero state pagate come “contropartita” di un provvedimento legislativo: la legge 350 del 24 dicembre 2003 che previde per le aziende del gas un abbattimento dell’Iva e contributi per i trattamenti pensionistici. I politici chiamati in causa hanno sempre negato di avere preso soldi in cambio di “favori”. E alla fine le loro posizioni sono state archiviate. È andata invece avanti l’indagine sui legami tra le società del gruppo e personaggi di mafia o comunque vicini a Cosa nostra.