Se il presidente turco Erdogan è guardato con sospetto dal panorama internazionale, come più volte i media di tutto il mondo hanno sottolineato e come lui stesso ha ammesso in varie interviste, è pur vero che la maggior parte dei cittadini turchi lo ammira e lo sostiene. Una folla titanica ha riempito la spianata di fronte al Mar di Marmara a Yenikapi, nella parte europea di Istanbul.
Un raduno denominato “per la democrazia e per i martiri”, una manifestazione contro i golpisti di metà luglio (il golpe ha causato, contando ambo le parti in causa, 270 morti, N.d.r.), voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan e alla quale hanno partecipato anche i leader di due tra i maggiori partiti d’opposizione, Kemal Kilicdaroglu del Chp e Devlet Bahceli del partito nazionalista Mhp. Assente solo il partito filo-curdo Hdp, che non è stato invitato. Fin dalle prime ore del pomeriggio l’area si è riempita di manifestanti vestiti di bianco e di rosso, che sventolavano bandiere nazionali e cantavano slogan inneggianti all’unità della Turchia.
Impossibile fornire cifre certe sulla partecipazione ma i media internazionali hanno parlato di più di un milione di manifestanti mentre l’agenzia di stampa Anadolu si è spinta fino a tre milioni, calcolando anche i raduni davanti ai grandi schermi in molte località sparse in tutto il Paese.
Arrivato in elicottero con la moglie tra le ovazioni della folla, Erdogan aveva twittato sul suo account: “Invito tutti i miei cittadini a Yenukapi, per mostrare in modo inequivocabile e forte la nostra unità e solidarietà”. E quando ha arringato la folla, ringraziando entusiasticamente chi “a petto nudo” ha fermato i golpisti, l’entusiasmo è andato alle stelle. Prima di lui aveva parlato tra gli altri Kilicdaroglu, il più recalcitrante tra i potenti invitati alla manifestazione.
“Il 15 luglio ha aperto la porta alla nostra riconciliazione” aveva scandito. Le ultime tre settimane di manifestazioni pro-Erdogan nelle più importanti piazze di Istanbul e di Ankara sono state peraltro accompagnate anche da implacabili purghe tra militari, magistrati, insegnanti, giornalisti e intellettuali (atteggiamento condannato fuori confine perché considerato lesivo al concetto stesso di democrazia che Erdogan sostiene).
In centinaia sono finiti in carcere (gli ultimi 90 arresti di cui si è avuta notizia sono dell’altro ieri sera), più di 60mila hanno perso il lavoro e sono di fatto precipitati in un nulla senza certezze ma con enormi incognite sul futuro loro e delle loro famiglie. Con la sola eccezione di una promessa giustizialista: “Se il Parlamento la voterà, reintrodurrò la pena di morte”, ha confermato alla folla il presidente sotto le gigantografie sua e del padre fondatore della Turchia, Mustafa Kemal Ataturk. E ancora: “Staremo insieme come un’unica nazione, un’unica bandiera, un’unica madrepatria, un unico stato e un’unica anima”.