“Figlio di p…, te la farò pagare”. E’ la “colorita” espressione che ha usato il presidente delle Filippine riferendosi minacciosamente a Barack Obama, nel caso volesse interferire negli “omicidi extragiudiziali”.
Duterte ha sottolineato di essere il leader di un Paese sovrano e di dover rispondere solo al popolo filippino. In due mesi di “lotta alla droga” la polizia locale ha ucciso oltre 2000 sospetti spacciatori o trafficanti di droga.
Il presidente americano Barack Obama ha detto di aver chiesto al suo staff di valutare se il previsto incontro con il capo di Stato filippino, Rodrigo Duterte, possa essere ancora “produttivo” alla luce delle sue ultime dichiarazioni.
L’insulto proferito da Duterte verso Obama è una sorta di “avvertimento” in vista dell’imminente faccia a faccia tra i due previsto a margine del vertice Aseas (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) in Laos. Il presidente filippino non è nuovo a espressioni colorite nei confronti degli americani: all’inizio di agosto definì l’ambasciatore americano Philip Goldbergun “omosessuale figlio di p…”, aggiungendo di sperare “non incontrarlo più”.
Dopo questo incidente diplomatico, Patrick Chuasoto, l’ambasciatore filippino a Washington, era stato convocato dal Dipartimento di Stato degli Usa per chiarire le dichiarazioni di Duterte.
Sin dall’inizio della campagna elettorale, che si è poi conclusa con la sua elezione, Duterte aveva promesso una “mattanza” di spacciatori per limitare lo sviluppo del narcotraffico nelle Filippine.
La polemica è però infuriata quando si è scoperto che le uccisioni da parte della polizia di stupratori, ladri e acquirenti di droga era basata non su prove concrete, ma susemplici illazioni. Gli accesi detrattori del presidente filippino parlano infatti di “esecuzioni sommarie” basate sul sospetto.
Duterte ha anche promesso di liberare il proprio Paese dalla criminalità e dagli stupefacenti in soli sei mesi, avvertendo che la guerra per ottenere tale risultato sarà “sporca” e “sanguinosa”.