Ammonta a circa un miliardo di euro il giro di fatture false scoperto dalla Guardia di Finanza di Vicenza nell’ambito dell’operazione “Round Trip”. Una “colossale e sistematica” frode fiscale che, a partire almeno dal 2009, ha portato in Italia e all’estero all’arresto di 29 persone (18 in carcere, undici ai domiciliari) sul territorio nazionale e in altre cinque nazioni. Indagate a piede libero altre 218 persone, tutte italiane tranne un serbo.
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica Barbara De Munari, sono state condotte fin dal 2013 dal Nucleo di polizia tributaria di Vicenza mediante un imponente sforzo investigativo, utilizzando anche speciali software d’indagine, che ha visto impegnato decine di militari in attività di intercettazione telefonica (quasi 75 mila le conversazioni ascoltate) e telematica, di perquisizioni e di pedinamenti su tutto il territorio nazionale nonché di riscontri documentali mediante l’esecuzione di numerose verifiche fiscali.
L’inchiesta nasce da indagini eseguite nei confronti di 180 società (di cui 145 italiane) che ha consentito di accertare un giro di fatture per operazioni inesistenti pari a 930 milioni di euro finalizzate all’evasione Iva di oltre 130 milioni di euro attraverso un giro di aziende “cartiere” al fine di evadere le imposte. Un giro che aveva al centro il commercio di prodotti ad alta tecnologia, come tablet e televisioni, ma anche farina, zucchero, latte in polvere e prodotti per le stampanti.
La merce, spiega un comunicato della Guardia di finanza di Vicenza, che già si trovava in Italia, veniva ceduta molto spesso solo fittiziamente in regime direverse charge (cioè in sospensione d’imposta) a un’azienda comunitaria, la quale rivendeva (sempre in reverse charge e sempre solo mediante trasferimenti fittizi) alla società “cartiera” italiana. Quest’ultima cedeva ulteriormente la merce (questa volta con Iva e “sottocosto”) a una o più società “filtro”, le quali la rivendevano al beneficiario finale della frode.
Da tale giro in pochi mesi si crea un ingente debito Iva (quella riscossa nel momento della cessione alle società “filtro”) che però non versa. La sede della società viene, quindi, dapprima trasferita a Roma o a Milano e alla fine piazzata all’estero dove viene “rottamata” lasciando dietro di sé un grande debito tributario non più esigibile e l’impossibilità di dichiararne il fallimento.