Napoli – E’ stato un errore, non un’esecuzione. Sono sedici pagine del gip Ludovica Mancini a fornire le motivazioni della sentenza con la quale il militare che, dopo un inseguimento tra le strade del Rione Traiano, a Napoli, nella notte tra il 4 il 5 settembre del 2014, sparò al 17enne Davide Bifolco, è stato condannato alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio colposo, oltre al risarcimento per i familiari della vittima.
Non voleva sparare in assoluto, scrive il giudice Mancini, il proiettile che colpì Davide partì improvvisamente, sottolinea però il gip, l’esplosione non fu evitata, a causa di una grave imprudenza e imperizia da parte del carabiniere, accompagnata dalla cosiddetta “violazione dell’obbligo di sicura padronanza e adeguata capacità di impiego delle armi”, e cioè il mancato inserimento della sicura alla pistola.
Le cose andarono così: la pattuglia di carabinieri incrociò un motorino con tre persone in sella, convinti che fra i passeggeri ci fosse il ricercato Arturo Equabile, in quel momento latitante per evasione dagli arresti domiciliari, intimarono l’alt e si misero all’inseguimento del motorino. La corsa terminò poco dopo, con l’impatto tra i due veicoli.
Sceso dall’auto, il carabiniere impugnò l’arma con il colpo in canna. Nella ricostruzione del giudice, la situazione “non era tale da giustificare il caricamento della pistola. Ma né le indagini, né il processo celebrato con rito abbreviato hanno fatto emergere alcuna prova in grado di sostenere l’ipotesi del proiettile esploso intenzionalmente.
Il carabiniere, al contrario, “si è verosimilmente sbilanciato, forse inciampando nel marciapiede, perdendo l’equilibrio e operando una involontaria pressione del grilletto”, scrive il giudice.
Inoltre, nelle motivazioni della sentenza vengono prese le distanze dalle dichiarazioni di altri testimoni, fra i quali alcuni amici della vittima, definite di volta in volta contraddittorie, inattendibili o inverosimili.