“Mi disse sono un obiettore di coscienza. Non posso intervenire fino a quando c’è un battito di vita”. Francesco Castro, marito di Valentina Milluzzo, la 32enne morta lo scorso 2 ottobre, dopo 17 giorni di ricovero, insieme ai suoi due gemelli in grembo, a seguito di un aborto a Catania, ribadisce che il medico di turno era obiettore.
“Chiedevamo spiegazioni ma nessuno si dava da fare. Anche altre persone hanno sentito la frase”, assicura l’uomo. La procura ha indagato, come atto dovuto, 12 medici dell’ospedale Cannizzaro.
“Valentina – racconta l’uomo a La Repubblica – si era sentita male la mattina. Chiedeva aiuto e nessuno faceva nulla. Nel pomeriggio l’hanno fatta scendere nella zona parto. Ho chiesto al medico di fare qualcosa e lui mi ha dato quella risposta. L’ha detto a mia suocera e a mio suocero. C’erano anche testimoni, parenti e amici di un’altra partoriente. Ho deciso di portarla in ospedale per sentirci sicuri e invece lei non c’è più”, sono le sue parole cariche di rabbia e di dolore.
Anche il padre della donna non si dà pace: “Abbiamo chiesto al medico di fare presto e lui ci ha dato la stessa risposta. Nessuno ci aveva fatto capire che Valentina fosse in pericolo di vita”.
Intanto, la procura ha iscritto nel registro degli indagati 12 medici del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale. Il reato ipotizzato è omicidio colposo plurimo. L’iniziativa, si sottolinea dalla Procura, è un atto dovuto dopo la denuncia dei familiari della donna per eseguire l’autopsia come atto irripetibile. Gli indagati sono tutti i medici in servizio nel reparto ad eccezione del primario, Paolo Scollo, e dell’assistente Emilio Lomeo, che erano assenti.
“La signora al quinto mese di gravidanza – ha spiegato il legale della famiglia – era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa. Dai controlli emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari presenti, si sarebbe rifiutato perché obiettore: “fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe detto loro”.
“Quando il cuore cessa di battere viene estratto il feto e mostrato morto ai familiari. Due di loro possono avvicinare la donna che urla dal dolore e grida continuamente “aiuto”. Viene eseguita una seconda ecografia – continua nella ricostruzione il penalista – e anche il secondo feto mostra delle difficoltà respiratorie. E anche il quel caso il medico avrebbe ribadito che lo avrebbe fatto espellere soltanto dopo che il cuore avesse cessato di battere perche’ lui era un obiettore di coscienza”.
Il secondo feto, secondo la denuncia, non è mostrato ai familiari. E un medico li avvisa che “le condizioni della donna sono gravissime perché la sepsi si è estesa, con una setticemia diffusa”. La donna sedata è portata in rianimazione, “e i familiari – osserva l’avvocato Catania Milluzzo – riferiscono di averla vista con dei cerotti sulle palpebre che le chiudevano gli occhi”. Poi domenica 16 ottobre la notizia del decesso.
“I medici nel reparto sono tutti obiettori ma quando è il caso vengono fatti intervenire specialisti esterni”, spiega a Il Corriere della Sera Paolo Scollo, primario all’ospedale Cannizzaro. “Non c’è stata negligenza, tutti i parametri sono stati rispettati. Siamo di fronte a un aborto spontaneo”, aggiunge il medico.