Dopo la telefonata tra Donald Trump e la leader taiwanese Tsai Ying-wen, vista da molti come una svolta nei rapporti tra gli Usa e il Paese asiatico che non hanno relazioni diplomatiche dal 1979, la Casa Bianca si è affrettata a precisare come non ci sia nessun cambiamento nella “nostra politica di una sola Cina”. Il presidente eletto ha puntualizzato: “Mi hanno chiamato loro”. Dura Pechino: da Taipei solo una “mossa meschina”.
Dopo la telefonata, la Cina ha presentato una protesta formale contro gli Usa: lo ha reso noto il ministero degli Esteri di Pechino, secondo cui “c’è solo un’Unica Cina nel mondo e Taiwan è un’inseparabile parte del territorio cinese. Il governo della Repubblica popolare cinese è il solo legittimato a rappresentare la Cina”.
Pechino considera l’isola di Taiwan non uno Stato indipendente ma una sua provincia. Gli Stati Uniti è dal 1972 che perseguono la politica chiamata “One China”, ovvero da quando il presidente Richard Nixon visitò Pechino e avviò un percorso di disgelo tra le due super potenze. Nel 1978 il presidente Jimmy Carter riconobbe formalmente il governo di Pechino come l’unico per tutta la Cina, compresa Taiwan. Seguì, nel 1979, la chiusura dell’ambasciata Usa a Taipei.
Le tensioni tra Taipei e Pechino sono tornate a livelli molto alti dopo che la presidente Tsai, insediatasi a maggio e convinta sostenitrice dell’indipendenza dell’isola “ribelle”, si è finora rifiutata di citare il “Consenso del 1992”, il riconoscimento del principio di una “Unica Cina”.
La telefonata di Trump e Tsai è maturata poco dopo l’incontro a Pechino tra l’ex segretario di Stato Henry Kissinger e il presidente Xi Jinping e dai massimi livelli del Partito comunista. Una accoglienza da Capo di Stato, marcata dai lunghi report dedicati dai media ufficiali, anche per il ruolo avuto da Kissinger come “normalizzatore” dei rapporti Usa-Cina negli Anni 70.