Svolta nell’inchiesta Stefano Cucchi: il ragazzo è morto per omicidio preterintenzionale.
E’ questa la decisione del procuratore capo Giuseppe Pignatone e del pm Giovanni Musarò che chiudono le indagini preliminari dell’inchiesta bis, aperta nel novembre del 2014, sui responsabili del pestaggio di Cucchi e contestano a tre dei carabinieri che lo arrestarono, nel parco degli acquedotti di Rom, il reato di omicidio preterintenzionale. E’ la prima volta che si arriva a contestare questo reato.
Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco sono accusati di omicidio aggravato mentre per il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all’arresto, e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco sono accusati di calunnia.
Per Mandolini e Tedesco prevista anche l’accusa per il reato di falso verbale di arresto perchè “attestavano falsamente che l’arrestato era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento”, cosa che non solo non avvenne, ma sarebbe stato il motivo per cui Cucchi, che “non era stato collaborativo” all’operazione, venne picchiato.
“Stefano Cucchi fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con schiaffi, pugni e calci – si legge nella nota scritta da Pignatone e Musarò – E le botte provocarono una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale che unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.
Ad 8 anni dal decesso del giovane sembra essere stata decisiva l’ultima perizia di ufficio che aveva riconosciuto un nesso tra il pestaggio e il decesso: “Le fratture traumatiche delle vertebre di Stefano ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica al punto tale che la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all’esito finale”.