Reggio Calabria – I finanzieri del comando provinciale di Reggio Calabria – sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia reggina – hanno eseguito, in Calabria, Sicilia e Lazio, un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 25 soggetti, responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici, anche aggravati dalle modalità mafiose.
I provvedimenti giudiziari eseguiti rappresentano l’epilogo delle investigazioni condotte dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Cumbertazione”, nel cui contesto sono stati approfonditi i profili imprenditoriali della criminalità organizzata operante nella piana di Gioia Tauro nel settore degli appalti pubblici, nonché accertati legami di connivenza con funzionari pubblici del Comune di Gioia Tauro e dell’Anas.
In tale quadro, lo scorso 19 gennaio sono stati eseguiti, su disposizione della richiamata Direzione Distrettuale Antimafia, 27 provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, oltre 150 perquisizioni di persone fisiche e giuridiche nonché 44 sequestri preventivi d’azienda per un valore complessivo pari a 224 milioni di euro.
Le indagini, in particolare, hanno accertato il diretto coinvolgimento del gruppo imprenditoriale Bagalà, che, sfruttando l’appartenenza alla nota cosca Piromalli, ha costituito e consolidato negli anni una posizione di assoluto predominio nel settore degli appalti pubblici in Calabria, riuscendo sistematicamente a turbare almeno 27 gare indette da plurime stazioni appaltanti (tra cui i Comuni di Gioia Tauro e Rosarno, la Provincia di Reggio Calabria – Stazione Unica Appaltante, l’Anas, eccetera) nel periodo 2012/2015 per un valore complessivo superiore a 90 milioni di euro.
L’illecito modus operandi – posto in essere grazie anche ai rapporti corruttivi con funzionari appartenenti alle medesime stazioni appaltanti nonché all’operato di diversi professionisti collusi – ha consentito di sviare il regolare svolgimento delle gare pubbliche mediante la costituzione di un cartello composto da oltre 60 società che, attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate, è stato in grado di determinare l’aggiudicazione degli appalti a una delle imprese della cordata.
Proprio sotto tale profilo, nel corso delle indagini è stata individuata una cerchia di soggetti risultati pienamente inseriti in quella organizzazione che gli indagati, negli stessi dialoghi intercettati, hanno definito la “Cumbertazione” (termine dialettale utilizzato per indicare un’associazione “chiusa”).
Accanto al nucleo essenziale della famiglia Bagalà – in particolare dei fratelli Giuseppe, 60 anni, e Luigi, 71, nonché dei rispettivi figli Francesco, 27, e Francesco, 40 – sono stati individuati ulteriori soggetti con ruoli chiave nel sistema di controllo degli appalti, tra i quali, in primis, Giorgio Morabito, originario di San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria), già attivo nel settore degli appalti di lavori pubblici ed affiliato alla cosca Piromalli, nonché l’ingegner Pasquale Rocco Nicoletta e la sorella di questi, Angela Nicoletta, anch’essa parte del sodalizio criminale e testa di ponte della cosca Piromalli all’interno dell’amministrazione comunale di Gioia Tauro. Quest’ultima, in particolare, quale dirigente del Settore Lavori Pubblici del menzionato Comune, nonché presidente delle commissioni di gara cui partecipavano le imprese appartenenti al richiamato “cartello”, forniva informazioni riservate e suggerimenti tecnici indebiti, nonché si attivava, a richiesta di Francesco Bagala, 40 anni, per differire i termini di consegna delle offerte ogni qualvolta l’associazione criminale non fosse stata in grado di rispettare il termine di presentazione dell’offerta.
Sono stati inoltre accertati ripetuti episodi di corruzione dell’ingegnere dell’Anas Giovanni Fiordaliso, direttore dei lavori relativi alla realizzazione dello svincolo autostradale di Rosarno, il quale, in cambio di utilità indebite da parte della famiglia Bagalà – consistite in soggiorni gratuiti a Taormina e Firenze e nel regalo di orologi Rolex – forniva a Bagalà Francesco cl. ’77 informazioni riservate nonché il format del file Anas con il relativo logo. In virtù di tali elementi i professionisti di fiducia del menzionato Bagalà compilavano la “relazione riservata del direttore dei lavori” che veniva fatta propria da Fiordaliso con l’apposizione della propria firma.
Lo stesso Fiordaliso, inoltre, si attivava ripetutamente per favorire le imprese dei Bagalà. A tal fine, faceva pressioni su una dipendente Anas affinché venisse accelerata la procedura di firma dei Sal (Stato Avanzamento Lavori); perorava – dissimulando di agire nell’interesse della stazione appaltante Anas cui voleva evitare un oneroso contenzioso – la causa dell’impresa, cercando di spingere i competenti funzionari dell’Anas ad attivare la procedura finalizzata a giungere ad un accordo bonario il più possibile remunerativo per l’appaltatore, ciò al fine di consentire ai Bagalà di recuperare il forte ribasso offerto in sede di aggiudicazione della gara; cercava di convincere il consulente tecnico dell’Anas, appositamente nominato dall’Ente per la risoluzione della stessa controversia, a rinunciare all’incarico.
Accanto ad essi sono state individuate una serie di ditte compiacenti aventi sede in Calabria, Lazio, Sicilia, Campania e Toscana a cui venivano fatte presentare le offerte secondo importi che avrebbero automaticamente garantito l’aggiudicazione ad una di esse.
In taluni casi, le predette imprese, scelte in ragione dei propri requisiti tecnici ed economici (come nel caso dei gruppi Cittadini e Barbieri), si sono prestate a partecipare fittiziamente alle gare, singolarmente o in Ati o Rti, per conto dell’organizzazione (ricevendo in cambio una percentuale che variava dal 2,5% al 5% sull’importo posto a base d’asta, al netto del ribasso); in altri casi, le stesse hanno presentato offerte fittizie, ricevendo in cambio, ad esempio, la garanzia che l’organizzazione, a sua volta, avrebbe presentato offerte fittizie per appalti di loro interesse così aiutandole ad aggiudicarsi le relative gare.
In questo sistema, sostenuto da un collante composito fatto di corruzione, imposizione ‘ndranghetistica e collusione, lo scopo perseguito dai Bagalà è stato quello di garantirsi il totale controllo del sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi. Detto controllo veniva esercitato sia direttamente, mediante aggiudicazione delle gare alle proprie ditte, sia indirettamente, facendo vincere le commesse ad imprese colluse, che, per i lavori sul posto e attraverso il sistema delle procure speciali rilasciate a Giorgio Morabito e ad altri, si affidavano poi alle stesse ditte dei Bagalà. Anche laddove il richiamato cartello non fosse riuscito vincitore, infine, venivano messe in atto manovre – sotto forma del subappalto o della procedura di nolo – al fine di controllare in maniera diretta la gara.
Il vantaggio derivante in capo all’organizzazione criminale è stato molteplice. Da un lato, quello economico, direttamente derivante dall’esecuzione dell’appalto “per procura”; in secondo luogo, quello di favorire gli altri imprenditori mafiosi operanti sul territorio di esecuzione dei lavori, così da aumentare il prestigio dell’organizzazione, creare sinergie, consenso ed alleanze; in terzo luogo, vi è il vantaggio – in termini di visibilità mafiosa – di eseguire tutti i lavori in un territorio come, ad esempio, quello di Gioia Tauro, rafforzando così la posizione della cosca Piromalli. Infatti, la gestione dei cantieri locali permette anche l’assunzione delle maestranze imposte dalle famiglie ‘ndranghetistiche competenti per territorio, così ulteriormente permettendo all’organizzazione di creare un sistema per cui – secondo le stesse parole di Bagalà Giuseppe cl. ’57 – “tutti sono contenti”.
Per ottenere tali benefici, l’organizzazione ha curato anche i rapporti con le cosche di ‘ndrangheta competenti in relazione al luogo di esecuzione dei lavori, riconoscendo loro la tradizionale “tassa ambientale” del 3%. L’operato illecito, inoltre, ha interessato anche la fase più propriamente esecutiva delle opere in quanto, in alcune gare, sono state apportate varianti non autorizzate al progetto ed è stato riscontrato l’utilizzo di materiale scadente e/o di qualità diversa rispetto a quella prevista nel capitolato di appalto.