Belpasso, omicidio Caponnetto: presi i killer dell’imprenditore

di Redazione

Belpasso (Catania) – Picchiato, strangolato e dato alle fiamme. Questa la fine orrenda dell’imprenditore agrumicolo di Paternò Fortunato Caponnetto, scomparso da casa l’8 aprile del 2015. Quattro appartenenti alla cosca dei Santapaola-Ercolano, in particolare alla “sezione” di Belpasso capeggiata da Carmelo Navarria, sono finiti in carcere con l’accusa di omicidio aggravato e distruzione del cadavere.

L’arresto di Gatetano Doria, Aldo Carmelo Navarria, Gianluca Presti e Stefano Prezzavento è stato possibile grazie all’indagine “Araba Fenice”, avviata all’indomani del fatto attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, pedinamenti e video-riprese, riscontrate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmeci Francesco, che era presente alle fasi salienti del delitto.

Il 23 giugno 2014, Navarria, uomo di fiducia a disposizione dei Pulvirenti Giuseppe “U Malpassotu”, noto criminale in forza al braccio armato di Nitto Santapaola, fu scarcerato dopo ventisei anni e mezzo di reclusione per sei omicidi, e si è subito posto al comando di un “gruppo”, alle dirette dipendenze di Francesco Santapaola, pro-cugino di Nitto, tratto in arresto dai Carabinieri nell’aprile del 2016 nell’ambito dell’indagine Kronos.

L’ 8 aprile 2015, Caponnetto Fortunato è scomparso nel nulla subito dopo essersi incontrato con Carmelo Navarria a Belpasso, presso la villa in costruzione di quest’ultimo. E’ stato dapprima picchiato, poi strangolato con il metodo della “garrota” ed il suo cadavere è stato dato alle fiamme con un fuoco alimentato da vecchi pneumatici, secondo il tradizionale modus operandi dei Malpassoti.

Il movente sarebbe da addebitare ad una serie di concause, ovvero al fatto che Caponnetto avesse prima dato e poi negato l’assenso ad assumere Navarria presso la propria azienda, preferendogli poi, un presunto appartenente ad altra organizzazione mafiosa operante nel paternese. Caponnetto aveva inoltre licenziato la moglie del suo aguzzino, imposta con la forza tempo addietro, ed avrebbe infine creato dissidi con appartenenti ad un’altra cosca per un debito che un suo parente aveva contratto con questi ultimi e di cui Navarria si sarebbe fatto garante.

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