Torna ad accusare la sua ex compagna, Raimondo Caputo, detto Titò, imputato per l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, avvenuto nel 2014 al Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli.
Prima che si concludesse l’udienza davanti alla quinta sezione della Corte di Assise (presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere Annalisa De Tollis), ha chiesto di poter rendere dichiarazioni spontanee. Caputo si è detto estraneo al delitto ed ha puntato l’indice ancora una volta (come in una precedente udienza e nel corso dell’incidente probatorio) contro Marianna Fabozzi, che in questo processo è imputata di concorso in violenza sessuale per aver coperto i presunti abusi che Titò avrebbe commesso sulla bimba.
Parlando concitatamente (ed esprimendosi in un dialetto assai stretto tanto da indurre giudici e avvocati a frequenti richieste di chiarimenti), Caputo ha accusato Fabozzi sia dell’uccisione di Fortuna sia dell’omicidio del figlioletto, Antonio Giglio, che la donna ebbe da un precedente rapporto.
Entrambi i bambini morirono a un anno di distanza l’uno dall’altra in circostanze analoghe, precipitando cioè nel vuoto dallo stesso palazzo di Parco Verde. Titò ha affermato che fu la stessa Fabozzi a confidargli di aver lanciato giù la bimba, prendendola per un braccio e affondandole le unghie nella pelle. Per tale motivo ha ritenuto che gli esami scientifici avrebbero potuto confermare tale circostanza. Titò sostiene anche che esisterebbero intercettazioni ambientali che lo scagionano ma che non sono state esibite al processo.
Va detto che le dichiarazioni di Titò sono giunte al termine di una udienza in cui sono state ripercorse, nella testimonianza di un investigatore dei carabinieri, le intercettazione ambientali dalle quali emerge, secondo l’accusa, il coinvolgimento pieno di Titò nel delitto. Come quando, parlando in famiglia, esprime timore per un eventuale esame del Dna sul corpo della bambina (“Adesso esce anche il mio dna…quando le diedi il morso vicino alle gambe”).
Le conversazioni intercettate documentano anche le pressioni che Marianna e la madre di lei esercitano su una figlia – amichetta di Chicca, come veniva chiamata Fortuna – affinché non racconti quello che sa agli inquirenti, sia sul delitto sia sugli abusi sessuali (“Io lo so che la bambina non si è buttata”, dice la piccola in una intercettazione).
Con l’udienza di ieri si sono conclusi gli interrogatori dei testimoni inseriti nella lista del pubblico ministero. Il processo riprenderà l’11 aprile.