Turchia, il referendum sancisce il “sultanato” di Erdogan

di Giuseppe Della Gatta

Istanbul – La Turchia precipita ufficialmente nel baratro di un presidenzialismo con sfumature di dittatura. Recep Tayyip Erdogan si appresta a divenire quello che ormai in molti considerano il nuovo Sultano di Turchia.

94 anni dopo, il sogno di una Repubblica laica e parlamentare, così come voluta dal Padre della Nazione, Mustafa Kemal Ataturk, è svanito nel pomeriggio di domenica 16 aprile, quando lo Ysk, il Supremo Comitato Elettorale ha dichiarato “Evet” il Sì vincitore con un risicato 51,3 % dei voti.

Erdoğan vince il referendum, ma ne esce fortemente indebolito. In primis perché quasi tutte le più grandi città hanno votato contro la riforma presidenziale. Ad Istanbul e nella capitale Ankara, dopo 15 anni di predominio politico dell’Akp (il partito di Erdoğan), il fronte del No si è attestato al 51,35 %. Un risultato non da poco, visto che l’attuale presidente è cresciuto, risiede ed è stato sindaco proprio ad Istanbul.

Smirne, terza città del paese, è centro laico ha confermato di essere un feudo dell’opposizione anti- Erdogan, dove il No si è attestato al 69%. Adalia, Mersina, Adana ed altre città della costa Egea e della Tracia hanno votato massicciamente contro la riforma. Un risultato, questo, che seppur ha sancito comunque la vittoria del Sì, fa capire che queste grandi città, che da sole rappresentano un terzo del potere economico, turistico e culturale del paese, sono nettamente schierate contro la deriva autoritaria del Presidente.

A rimanere profondamente legati al leader dell’Akp sono quindi i villaggi e i territori interni della penisola anatolica. Islamisti e radicali che sono da sempre schierati a destra e hanno rappresentato già in passato l’elettorato di Nemettin Erbakan, maestro politico e ideologico di Erdogan.

Il tutto farebbe presagire che Erdogan, nonostante la vittoria, dovrebbe rimettere in discussione i suoi obiettivi e piani politici, in vista della larga opposizione, guidata soprattutto dal Chp (il partito nazional-kemalista). La dura realtà, invece, è che da oltre 15 anni, la Turchia è diventata un’autocrazia dove le libertà sono da diverso tempo a questa parte minate in maniera quasi del tutto insensata. Specie dopo le rivolte di Gezi Park, la deriva autoritaria di Erdogan è implosa in azioni di repressione durissime, con arresti e intimidazioni da parte delle forze di polizia.

Erdogan stesso si considera ormai al di sopra della legge, e lo si è visto subito nel dopo referendum in questi giorni. Anzitutto è ormai noto che il 5% dei voti del Sì è frutto di brogli elettorali. Vari osservatori indipendenti hanno filmato i presidenti dei seggi elettorali che timbravano con su Sì le schede elettorali. In tutto ciò il Supremo Comitato Elettorale non ha preso assolutamente in considerazione sia i numerosi video, sia le analisi effettuati dai membri dell’Osce, arrivati da Vienna per l’occasione. Anzi, il Comitato ha espressamente chiarito che sono state considerate lecite anche le schede non timbrate.

Erdogan, oltretutto, non ci ha pensato due volte, a votazioni effettuate, ha prorogato di altri tre mesi lo stato di emergenza nel paese per rischio attentati da parte del Pkk (il partito dei separatisti curdi, che unanimemente ha bocciato la riforma). Motivo, che sembrerebbe ovvio, ma che in realtà è mirato a reprimere qualsiasi tipo di manifestazione o di dissenso contro di lui.

Critiche nei confronti dell’esito delle elezioni sono giunte da diverse parti del mondo, ma Erdogan sa benissimo che per quanto possano essere pungenti i pareri degli Stati esteri a lui poco interessa. Anche con un forte dissenso interno, il leader dell’Akp sa benissimo che non può essere isolato essendo sia uno degli stati più forti della Nato, sia perché lui stesso è uno dei politici più importati per quanto riguarda i negoziati con la Siria.

Felicitazioni e congratulazioni arrivano dal presidente americano Donald Trump, nel mentre un elicottero Skorsky con a bordo 12 persone tra membri delle forze di sicurezza e giudici della Commissione elettorale è precipitato a causa delle “condizioni atmosferiche”. Eppure quegli elicotteri sono stati progettati per resistere alle condizioni climatiche della Siberia russa.

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