Nel salone degli Specchi dell’Università Telematica Pegaso, a Napoli, si è tenuto un convegno dal titolo “Tra bisogno e merito. Politiche giovanili e lavoro in Campania”, promosso dalla Fondazione AdAstra e dalla Pegaso, per mettere a confronto decisori pubblici, specialisti e attori interessati per discutere del problema del lavoro per i giovani in Campania.
Da anni i giovani campani sono costretti a lasciare la regione per trovare lavoro: questo fenomeno sta impoverendo gravemente il tessuto sociale regionale, privandolo della sua vera grande ricchezza, le nuove generazioni, e della prospettiva di avere una classe dirigente e un ceto medio produttivo di qualità nei prossimi decenni.
Il convegno, prendendo spunto dal libro di Angelo Bruscino, presidente nazionale dei Giovani Confapi – parte dalla considerazione che, se non si farà nulla per riconoscere il valore del “patrimonio” sociale e di competenze rappresentato da questi giovani, e non si attiveranno interventi strutturali per dare loro la possibilità di restare (o tornare) in Campania, qualsiasi politica di sviluppo per questa regione è destinata a fallire: ogni idea, ogni programma, ogni iniziativa deve partire dalla centralità di questo problema.
“L’Italia ed i Giovani sembrano ormai essere diventati una dicotomia degli opposti – dichiara Bruscino – passato e futuro che invece di procedere in maniera naturale, sembrano essersi arroccati su posizioni di scontro, tra una generazione di ‘diritti acquisiti’ ed un’altra ‘senza diritti’, posizioni che in questi anni di crisi hanno poi costituito l’alibi per definire genitori e figli impegnati più ad accusarsi reciprocamente che tentare un’alleanza tra il passato ed il presente e sulla scorta di questo racconto fatto di crisi e di contraddizioni, il nostro Paese ha registrato negli ultimi anni un peggioramento costante degli indicatori lavorativi e purtroppo anche scolastici”.
“L’Italia non è solo questo, – continua Bruscino – anzi spesso negli angoli più sperduti dello stivale, in scuole senza agibilità, tra scioperanti di mestiere, politici, professori e padri senza più fede, spuntano uomini e donne che sanno ancora raccogliere quei sentimenti e quei valori che ci hanno reso una potenza industriale planetaria, un modello di qualità in circa 156 distretti industriali, con un brand con il Made in Italy che spazia dalla moda, alla meccatronica, dall’alimentare, alle biotecnologie, insomma ancora oggi per grande parte del Mondo essere nati qui, ‘essere italiani’ è un privilegio eccezionale, mentre noi cerchiamo in tutti i modi di trasformare una fortuna, in una maledizione, con una burocrazia lenta e farraginosa, una giustizia senza tempo, uno stato assente o patrigno, sembra quasi che costantemente ci si sforzi per evitare che il meglio di noi emerga e diventi l’attore determinante per cambiare le tante piccole e grandi cose che non vanno”.