La legge marziale proclamata in un terzo del Paese, operazioni militari in città contro un gruppo di militanti affiliati all’Isis, il capo della polizia locale decapitato e una dozzina di cattolici usati come scudi umani: nel sud delle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte si trova da ieri sera a fronteggiare la più grave emergenza nel suo primo anno di mandato.
E richiamando l’ex dittatore Ferdinand Marcos ha fatto capire di voler usare il pugno di ferro contro la crescita dell’estremismo islamico, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale.
La crisi è scoppiata ieri a Marawi, una città di 200 mila abitanti nell’isola di Mindanao, dopo un blitz fallito dell’esercito per mettere le mani su Isnilon Hapilon, un comandante del gruppo ribelle Abu Sayyaf considerato tra i terroristi più pericolosi del Paese.
I militanti hanno chiamato i rinforzi del gruppo islamico Maute, che ha giurato fedeltà all’Isis. Decine di uomini armati hanno assaltato diversi edifici tra cui un carcere e una chiesa, a cui hanno appiccato il fuoco. Un sacerdote e almeno altri 13 fedeli sono stati presi in ostaggio, con la minaccia di ucciderli se l’esercito non interromperà l’offensiva. L’arcivescovo Socrates Villegas ha sostenuto che gli armati minacciano di uccidere gli ostaggi “se le forze del governo non verranno richiamate”.