Napoli – In Campania oggi vivono circa 1400 bambini e adolescenti con diabete mellito tipo 1 e l’età della diagnosi si riduce sempre più. Sebbene infatti il maggior numero di esordi continui a manifestarsi tra i 9 e gli 11 anni, il diabete viene diagnosticato a un numero sempre maggiore di bambini al di sotto dei 3 anni (Fonte Sid).
Considerando l’ampia diffusione della malattia, quindi, occorre guidare i piccoli pazienti, i genitori e gli insegnanti all’interno di un percorso che li aiuti a conoscerla e a gestirla nella quotidianità. In questo modo non solo faciliteranno il lavoro degli specialisti, ma soprattutto i bambini potranno condividere la loro vita con il diabete anche con i loro amici e compagni.
Per questo motivo, è partita partirà da Napoli “Sono Un T1po”, la campagna nazionale di sensibilizzazione sul diabete, rivolta a bambini in età scolare ed insegnanti. Il progetto è ideato da Agdi (Associazioni Giovani Italiani con Diabete) in collaborazione con Eli Lilly e con il patrocinio di Siedp (Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica) e Diabete Italia.
La campagna coinvolge le scuole di primo grado di tutta Italia per informare insegnanti, alunni e famiglie su cosa sia il diabete di tipo 1, quali siano le sue caratteristiche, i sintomi, le cause e come si possa gestire nella quotidianità.
Durante gli incontri, inoltre, saranno presentati ai bambini i fumetti Disney “Coco torna a scuola” e “Coco e la festa di Pippo”, che vedono come protagonista Coco, una scimmietta simpatica e vivace che ha il diabete di tipo 1. I due fumetti nascono dalla collaborazione tra la multinazionale farmaceutica Eli Lilly e la Disney (Disney Consumer Products & Interactive Media): l’esperienza del colosso farmaceutico in fatto di diabete e quella della Disney con l’infanzia hanno dato vita a uno strumento ludico che aiuterà genitori, bambini e insegnanti a padroneggiare la malattia con naturalezza.
Il fumetto può favorire l’abbassamento dell’età in cui i bambini imparano a comprendere i sintomi del diabete e a migliorarne la gestione e la comunicazione sia ai genitori che al medico. Infine, come strumento di aggregazione, può aiutare il bambino a condividere la propria condizione con i compagni di gioco, “normalizzandone” anche la loro percezione e abbattendo molti pregiudizi.
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