Totò Riina, Bindi: “Può avere una morte dignitosa anche in carcere”

di Redazione

La condizione di cura attuale di Riina è “identica a quella di cui potrebbe godere in libertà o ai domiciliari”. Lo sostiene la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi dopo il sopralluogo all’ospedale di Parma, dove il boss mafioso è ricoverato in regime di 41 bis. A Riina, continua, “è ampiamente assicurato il diritto a una vita dignitosa e dunque a una morte dignitosa. A meno che non si voglia garantire il diritto a morire fuori dal carcere”.

“Riina gode di ogni assistenza medica e vive una situazione carceraria che gli garantisce dignità di vita. Lo Stato vince quando garantisce tutto questo, non quando libera qualcuno che è ancora capo di Cosa Nostra”. Rosy Bindi, relazionando alla commissione bicamerale sulla visita alla struttura ospedaliera dove è ricoverato in regime di 41 bis il boss mafioso, prosegue: “Riina è stato e rimane il capo di Cosa Nostra, non perché lo Stato non abbia vinto, ma perché le regole mafiose non sono modificabili da quelle statali. Continua a mantenere un alto stato di pericolosità e una piena condizione di manifestare le sue volontà. Non ha mai dato segni di ravvedimento”.

La presidente della commissione Antimafia fa luce sulle attuali condizioni di salute del boss mafioso: “Il detenuto, con il quale si è preferito non interloquire, era in sedia a rotelle, in buon ordine, con sguardo vigile. Riina si alimenta autonomamente, è sotto osservazione medica e costantemente assistito da equipe di infermieri. Dal punto di vista intellettivo, come chiarito dai medici e come confermato dagli agenti del GOM addetti alla sorveglianza h24, Riina interloquisce normalmente con il personale medico, paramedico e della polizia penitenziaria”.

Nonostante sia stabilmente ricoverato dal gennaio 2016 nel reparto detentivo della struttura ospedaliera pubblica di Parma, Riina ha continuato a partecipare in videoconferenza alle numerose udienze che lo riguardano “dimostrando di conservare lucidità psichica e anche una certa capacità fisica tanto da sottoporsi ai continui trasporti presso la casa di reclusione di Parma, dove si trova la sala per la celebrazione delle udienze a distanza, per poi fare rientro in giornata in ospedale”. Dopo la pronuncia della Cassazione, è stata attivata la procedura per la predisposizione di un letto ospedaliero di nuova tecnologia per il caso in cui il detenuto dovesse rientrare in carcere.

Chiudendo la sua relazione, Rosy Bindi lancia un monito: “Se si è potuto constatare che per il Riina si è stati in grado di assicurare ogni suo diritto nel regime intramurario, va espressa invece preoccupazione per quanto potrebbe accadere a breve rispetto alla gestione di altri detenuti sottoposti al regime del 41 bis bisognosi di trattamento similare. Non sempre, infatti, le strutture ospedaliere pubbliche hanno, nella sezione riservata ai detenuti, un numero di celle sufficienti per rispondere a richieste di cura e di assistenza crescenti, così come, parallelamente, i continui spostamenti dei detenuti ospedalizzati per la partecipazione a distanza alle udienze”.

“Tutto ciò richiederà un maggiore numero di personale specializzato penitenziario con aumento dei rischi – afferma la presidente della commissione Antimafia -. Occorre dunque adottare tempestivamente soluzioni di ricovero e cura ottimali, per quanto possibile intramurarie dentro il sistema carcerario, in grado di soddisfare i diritti del singolo ma anche la tutela della collettività. Non si possono tenere occupati letti per lungodegenze come quella di Riina. O c’è una allargamento del carcere a strutture sociosanitarie o dentro il carcere bisogna organizzarsi per assistere le non autosufficienze come quelle che si stanno verificando”.

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