E’ boom di incassi fiscali grazie alla rottamazione delle cartelle esattoriali. Un’operazione che dovrebbe portare al governo per la prossima legge di Bilancio un extragettito di almeno 1,5-2 miliardi. Secondo le prime proiezioni dei dati, le adesioni alla definizione agevolata dei crediti con il fisco consentiranno, se i pagamenti saranno regolari, di superare ampiamente il target di 7,2 miliardi fissato dal decreto fiscale collegato all’ultima manovra.
Resta però critica la situazione sul fronte del recupero crediti fiscali da parte dell’amministrazione finanziaria: sol 120 miliardi su un totale di 185 è quanto raccolto negli ultimi dieci anni secondo i calcoli di Unimprese, che giudica l’attività “poco efficace”. Lo stock di arretrati delle “esattorie” fiscali ammonta infatti a ben 730 miliardi, con un rientro di tasse pari soltanto al 14%.
Considerando il totale degli incassi da riscossione, 85 miliardi sono il frutto di attività ordinaria, mentre 35 miliardi sono legati a misure una tantum approvate dai vari governi. Il record di gettito da riscossione è stato raggiunto nel 2016 con 19 miliardi: tra questi, però, 8 miliardi sono derivanti da interventi occasionali e, nel dettaglio, 4 dalla regolarizzazione dei capitali illegalmente detenuti all’estero.
Al netto della voluntary disclosure e di altri interventi non strutturali, l’incasso si è attestato a quota 11 miliardi, in linea con il trend degli anni precedenti. Questi i dati principali di una analisi effettuata dal Centro studi di Unimpresa sulla riscossione delle tasse dal 2007 al 2016, secondo la quale nel magazzino delle esattorie risultano iscritti molti crediti inesigibili (da contribuenti deceduti a poste inesistenti) ed erroneamente non cancellati.
Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, “i dati sono la prova di un sistema fiscale sbagliato: lo Stato pretende troppo, ha esagerato nell’alzare l’asticella del prelievo fiscale e ora si trova in bilancio poste fasulle, denaro che non recupererà mai. C’è da chiedersi, pertanto, che senso abbia chiedere così tanto quando poi il contribuente, impresa o famiglia non riesce a pagare”.
Secondo l’analisi dell’associazione, che si basa su dati della Corte dei conti e della Ragioneria generale dello Stato, dal 2007 al 2016 il totale degli incassi da riscossione si è attestato a 119,8 miliardi (lordi): 35 miliardi sono derivati da misure una tantum e 84,8 miliardi (incassi netti) dall’attività ordinaria. Il ritmo è progressivamente cresciuto nei 10 anni in esame: nel 2007 il totale era di 6,4 miliardi (2,1 una tantum e 4,3 miliardi netti), nel 2008 6,9 miliardi (2,4 miliardi e 4,5 miliardi), nel 2009 9,1 miliardi (2,7 miliardi e 6,4 miliardi), nel 2010 11 miliardi (2,9 miliardi e 8,1 miliardi), nel 2011 12,7 miliardi (3,4 miliardi e 9,3 miliardi), nel 2012 12,5 miliardi (3,1 miliardi e 9,4 miliardi), nel 2013 13,1 miliardi (3,1 miliardi e 10 miliardi), nel 2014 14,2 miliardi (3,3 miliardi e 10,09 miliardi), nel 2015 14,9 miliardi (4 miliardi e 10,9 miliardi), nel 2016 19 miliardi (8 miliardi e 11 miliardi).
Nel 2016 c’è stata dunque un’impennata complessiva. Il record è tuttavia stato possibile grazie a un incremento sostanziale della riscossione da interventi occasionali (8 miliardi in tutto su 19 miliardi), legata per lo più ai 4 miliardi frutto della regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero con la sanatoria “voluntary disclosure”. Nel magazzino fiscale dell’amministrazione finanziaria, restano poste per circa 730 miliardi. Il totale dei 119,8 miliardi recuperati con la riscossione corrisponde, quindi, ad appena il 14,1% degli 849,8 miliardi complessivi da recuperare.