Il processo d’appello a Firenze per la strage del rapido 904 che vede come unico imputato Totò Riina dovrà ricominciare da capo. La causa è l’imminente pensionamento del presidente della corte Salvatore Giardina, previsto per i primi di ottobre. Il capo dei capi era stato assolto in primo grado per l’attentato che il 23 dicembre 1984 uccise 16 passeggeri e ferì 267 persone sul treno Napoli-Milano.
La sentenza d’appello doveva essere emessa il 21 giugno scorso ma la corte, presidente Giardina, aveva ordinato di riaprire il dibattimento per acquisire le testimonianze di sei boss: Giovanni Brusca, Francesco Paolo Anselmo, Baldassarre Di Maggio(nuova udienza il 4 settembre) e Calogero Ganci, Giuseppe Marchese e Leonardo Messina (5 settembre). Era stato deciso che sarebbero stati interrogati in collegamento video dai penitenziari dove sono reclusi. Poi era stata fissata una nuova udienza, il 6 settembre, per il verdetto.
Il 21 giugno il capo dei capi avrebbe dovuto aspettare la decisione della corte in videoconferenza da Parma. Erano i giorni in cui, dopo l’accoglimento da parte della Cassazione di un ricorso della difesa, si discuteva della opportunità della detenzione in ospedale per il boss malato. La commissione Antimafia aveva fatto un sopralluogo e la presidente Rosy Bindi aveva dichiarato che a Riina erano garantite dignità e cura. La polemica, se uno stragista e mafioso avesse diritto o meno di morire nel suo letto, era definitivamente scemata dopo la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano che aveva stabilito che il mafioso è capace di intendere e di volere e può essere processato.
E invece la corte, quando erano previste le audizioni, ha stabilito il rinvio, per consentire il completo svolgimento della nuova istruttoria, che l’attuale collegio giudicante non avrebbe potuto portare avanti. Sarà necessario risentire tutti i testimoni ascoltati in primo grado, oltre alle nuove testimonianze. Secondo quanto spiegato dalla corte, il rinvio a data da destinarsi è stato disposto in virtù delle recenti modifiche apportate all’articolo 603 del codice di procedura penale – riforma Orlando – che impongono al giudice, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, di disporre la riapertura completa dell’istruttoria.
Per la strage del Rapido 904 ci furono a suo tempo condanne, tra cui quella di Pippo Calò, uno dei fedelissimi del boss Riina. Secondo la procura di Firenze la strage terroristica del 23 dicembre 1984, con una bomba fatta scoppiare alle ore 19.08 all’interno della grande galleria dell’Appenino tosco-emiliano a San Benedetto Val di Sambro, sarebbe stata commessa “al fine di agevolare od occultare” l’attività di Cosa Nostra per mantenere e assicurare “l’impunità degli affiliati e garantendo la sopravvivenza della stessa organizzazione”.
Il processo a Riina si era aperto nel novembre del 2014, ma dopo sei mesi di udienze la corte d’Assise fiorentina, presieduta da Ettore Nicotra, aveva assolto il capo dei capi di Cosa Nostra, indicato come mandante della strage. Secondo i giudici, nessuno tra i vari collaboratori di giustizia ascoltati come testimoni del processo “era a conoscenza che la strage fosse riconducibile a un mandato, istigazione o consenso di Riina”. Motivando la sentenza di assoluzione, la corte ha messo nero su bianco che la strage “indubbiamente giovava alla mafia, ma non ne recava la tipica impronta”.