Dopo gli scontri di domenica, nella tarda serata sono giunti i risultati del referendum sull’indipendenza catalana. Il “sì” ha ottenuto il 90% dei voti secondo i dati resi pubblici dal portavoce del governo catalano Jordi Turull. Al voto hanno partecipato 2,2 milioni di elettori, sui 5,3 chiamati alle urne (il 42%). Il “no” ha ottenuto il 7,8%. Secondo lo stesso governo catalano, però, senza le repressioni da parte di Madrid sarebbe andato a votare il 55% degli elettori.
Il governo spagnolo “ha scritto una pagina vergognosa”, afferma il presidente catalano, Carlos Puigdemont. Il vicepresidente Junqueras afferma che spetterà ora al parlamento catalano decidere se dichiarare l’indipendenza. Il premier spagnolo, Mariano Rajoy, secondo il quale il voto catalano è stato solo “una sceneggiata”, ha intanto convocato la direzione del Pp.
La polizia spagnola domenica mattina è entrata in azione a Barcellona facendo irruzione in diversi seggi per impedire le operazioni di voto del referendum. 761 le persone sono rimaste ferite, due sarebbero gravi. Barricate fuori dai seggi per impedire l’accesso degli agenti. Arrestata dalla Guardia Civil Claras Ponsatì, ministro dell’Istruzione catalano dopo un parapiglia scoppiato all’interno di un seggio. Il ministero dell’interno spagnolo ha dichiarato che le forze dell’ordine in Catalogna hanno arrestato tre persone, fra cui un minorenne, per “disobbedienza” e per aver attaccato gli agenti.
Nonostante la repressione della polizia spagnola, in Catalogna il 73% dei seggi è rimasto aperto: lo ha affermato il portavoce del governo catalano Jordi Turull, il quale ha affermato che “dai tempi del franchismo” non si vedeva una repressione e una “violenza di Stato” come quella esercitata dalle forze spagnole “contro la democrazia” in Catalogna.
Gli elettori catalani hanno costruito barricate a protezione dei seggi per impedire l’accesso alla polizia, già intervenuta in diverse località della Catalogna per sgomberare e sequestrare le urne. Vengono utilizzati tavoli, sacchi apparentemente pieni di terra, assi di legno, armadi e altri oggetti, per ostacolare l’intervento degli agenti.
Per il presidente della regione autonoma di Catalogna, Carles Puigdemont, la “brutalità ingiustificata” della polizia contro gli elettori catalani è “una vergogna che accompagnerà per sempre l’immagine dello Stato spagnolo”.
“I catalani sono stati ingannati e chiamati a partecipare a una mobilitazione illegale. Mi spiace per la frustrazione di queste persone, ma le richieste politiche non possono venire dalla rottura della legalità”. Sono le parole pronunciate dal premier spagnolo Mariano Rajoy domenica sera, in conferenza stampa. “Voglio dire a tutta la Spagna che la maggior parte dei catalani non ha partecipato alla sceneggiata degli indipendentisti e ha ignorato la convocazione alle urne – ha aggiunto – Hanno saputo mettersi dalla parte della democrazia. Voglio ringraziare quest persone”. Il premier ha anche ringraziato le forze di sicurezza dello Stato “che hanno tenuto fede agli obblighi e rispettato il mandato della Giustizia davanti ad un attacco così grave alla nostra legalità”. “Oggi non c’è stato un referendum in Catalogna – ha concluso – oggi tutti gli spagnoli hanno constatato che lo Stato di diritto mantiene la sua forza e agisce contro chi vuole sovvertirlo e contro qualsiasi provocazione”.
IL REFERENDUM – Un muro contro muro. Ma qual è la posta in palio? Secondo quanto stabilito da una legge approvata dal Parlamento catalano, gli elettori hanno trovato sulla scheda elettorale una sola domanda: “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?”. Il risultato è vincolante anche se contrasta con la Costituzione spagnola. Il testo approvato a Barcellona prevede anche che, se i cittadini votassero per la secessione, l’indipendenza debba essere dichiarata entro due giorni dalla proclamazione dei risultati. Come molte Costituzioni europee, anche quella spagnola definisce lo Stato “uno e indivisibile”. Il governo centrale, di conseguenza, sta facendo di tutto per fermare la deriva indipendentista.
La Catalogna è una delle 17 regioni autonome spagnole, con una popolazione di 7,5 milioni di abitanti. Contribuisce ad un quinto dell’economia del Paese. Nel 2015 il Pil catalano ammontava a 204 miliardi di euro, una cifra equivalente al 19% del Pil spagnolo. La regione ha proprie tradizioni e lingua locale, e la spinta indipendentista è considerata tra le cause della Guerra civile degli Anni ’30.
La Catalogna, una delle regioni più ricche della Spagna, vide revocati i suoi privilegi nei decenni della dittatura di Francisco Franco (1939-’75). I nazionalisti catalani ripresero la lotta e ottennero l’autonomia nel 1978, quando fu promulgata la nuova Costituzione. Ulteriori concessioni nel 2006, quando la parola “Nazione” fu inserita nello statuto regionale.
Nel 2010 la Corte costituzionale spagnola cancella parte delle conquiste sancite dal documento del 2006. Esasperati dall’erosione della loro autonomia, dalla crisi economica e dai tagli alla spesa pubblica, gli indipendentisti organizzano un referendum non vincolante nel 2014. La vittoria è schiacciante: l’80% dei votanti dicono sì alla secessione. Un ulteriore endorsment alla causa indipendentista arriva l’anno successivo, quando gli autonomisti vincono le elezioni locali.
E questa volta, i catalani decidono di sfidare apertamente Madrid, annunciando una consultazione mirata all’addio definitivo alla Spagna. La vittoria del movimento indipendentista è quasi scontata, ma è improbabile che il distacco da Madrid avvenga subito dopo il voto. E anche il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, smorza i toni: “Una dichiarazione unilaterale di indipendenza non è sul tavolo”, ha sottolineato.