Non si placa lo scandalo sule accuse di molestie e violenze sessuali nei confronti del produttore cinematografico Harvey Weinstein. La procura di New York, dopo le dichiarazioni di numerose attrici, tra cui l’italiana Asia Argento, ha aperto un’inchiesta e ha emesso un mandato di perquisizione con l’obiettivo di passare in rassegna l’intero archivio della società del produttore, allo scopo di stabilire se dipendenti della stessa siano stati oggetto di molestie o discriminazione.
Licenziato dalla casa di produzione da lui creata – The Weinstein Co. – il produttore si è sottoposto a una settimana di riabilitazione per la dipendenza dal sesso. Lo scandalo ha convinto molta gente comune a diffondere la propria storia di molestie sui social, tramite l’hashtag #metoo (#quellavoltache in Italia).
Juliette Binoche: “Sapevo della bestia che è in lui” – Intanto, si fa sempre più lunga la lista delle sue accusatrici, da più parti definite “a scoppio ritardato”. Ultima, in ordine di tempo, l’attrice francese Juliette Binoche che, in un’intervista a Le Monde, ha detto: “Sapevo della bestia che è in lui”, sottolineando, però, di non essere stata mai vittima. “Con lui non mi sono mai sentita in pericolo, penso che fossi già armata. L’unica volta in cui ho sentito una insinuazione sessuale da parte sua, non l’ho presa sul serio. Ho risposto immediatamente”, ha dichiarato l’attrice Premio Oscar per il “Paziente inglese”, prodotto proprio dalla Miramax di Weinstein, sottolineando, poi, che una sua collega la mise in guardia sui comportamenti del produttore. “E’ un essere complesso, stranamente affascinante. – ha proseguito Binoche – Ma sapevo bene della bestia che è in lui. Dinanzi alla corpulenza di Harvey, dinanzi alla sua energia, la sua voce, avvicinandosi a un tale potere, bisogna sapere dove mettere i piedi e risvegliare la propria intelligenza per non cadere in trappola”.
L’autista racconta di una violenza simile alla scena di “C’era una volta in America” – Un’accusa, ben più pesante, arriva dall’ex autista di Weinstein, Mickael Chemloul, le cui dichiarazioni, rilasciate al “The Sun”, rievocano la famosa scena di “C’era una volta in America” di Sergio Leone, quando l’autista della Rolls, dopo lo stupro messo in atto dal suo capo (interpretato da Robert De Niro) sul sedile posteriore, inchiodava l’auto. Nella realtà, l’autista del produttore, invece, si sarebbe ben guardato dal rifiutare di rendersi complice della violenza sessuale, limitandosi, anni dopo, a confermare le accuse rivolte dalle attrici a “The Pork”, com’era chiamato Weinstein nell’ambiente.
Chemloul, 56 anni, autista di Weinstein dal 2008 al 2013, ha raccontato non soltanto la violenza sessuale alla quale ha assistito senza fare un plissè, ma ha pure aggiunto altri dettagli delle continue violenze di Weinstein verso qualsiasi donna che lo incontrasse per questioni lavorative. “Lavorare con Weinstein era terribile. Tutti lo conoscevano come “il porco” per via della sua stazza e perché sudava tantissimo”, ha detto Chemloul, raccontando, poi, l’ignobile violenza con la sua complicità. Dopo la violenza subita dalla ragazza in auto, l’autista accompagnò lei e il produttore in albergo, dove si replicò la scena, mentre nella camera accanto dormiva, ignara, la moglie di Weinstein, all’epoca incinta.
Nemmeno George Clooney ha riservato parole tenere per Weinstein. “Harvey mi aveva detto di aver avuto delle storie con alcune attrici, io sinceramente non ci credevo. Quelle attrici erano delle mie amiche e non mi avevano parlato di relazioni con lui”, ha detto l’interprete di “Ocean’s Eleven” in occasione della promozione del suo ultimo lavoro, “Suburbicon”.
“Vorrei sapere chi portava le attrici nella stanza di Harvey, vorrei sapere qualcosa su quei reporter che dicevano di avere la storia tra le mani ma non ne hanno mai scritto: perché non è uscita fuori negli ultimi 10 anni? Quell’uomo molestava le donne, le costringeva al silenzio e nessuno lo ha detto”, ha proseguito Clooney, per il quale, la potente ondata di sdegno che è arrivata dai media quanto dalla gente comune non può che far bene alla società: “Forse è presuntuoso credere che questa volta sarà davvero il momento che aspettiamo e speriamo. Pensavamo lo stesso quando abbiamo sentito le registrazioni di Trump, in cui parlava in maniera volgare delle donne, eppure non è successo nulla. Ma stavolta sarà diverso, perché le vittime sono famose”.
Per Clooney, in particolare, a beneficiarne saranno le donne: “Si dovranno sentire sicure e libere di uscire allo scoperto, sicure che verranno credute quando denunciano, mentre chi ha commesso gli abusi non dovrà credere di avere le spalle coperte mai più. Dovrà sentirsi perseguitato”.
A condire il caso di ironia, seppur amara, ci ha pensato Fiorello, durante il suo programma radio-social “Il Socialista”, in diretta audio su Facebook. Tra il serio e il faceto, tra una gag e una canzone, lo showman siciliano ha rivelato di essere in possesso di una lettera “vera” in cui il produttore, dopo avere incassato un no ad un copione di un suo film, gli scriveva, minaccioso, che Hollywood gli avrebbe chiuso per sempre le sue porte. “Tutti parlano di Weinstein – ha esordito Fiorello – ma su questa storia, qualunque cosa si dica, si viene attaccati”. Del resto, aggiunge, il cliché è sempre quello, raccontato anche in un libro intitolato ‘Il sofà del produttore’.
Nel caso di Fiorello l’incontro avvenne quando lo showman partecipò alle riprese del film ‘Il talento di Mr.Ripley’, uscito nel 1999 e prodotto dallo stesso Weinstein, con la regia di Anthony Minghella e con Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow nel cast. All’epoca, racconta Fiorello, la Paltrow era fidanzata con Ben Affleck e alle feste poteva capitare di incontrare Weinstein che, “con atteggiamento godone, seduto sul divano con le gambe aperte, ordinava champagne anche per darlo da bere alle piante”.
Alcuni anni dopo la parentesi cinematografica con ‘Il talento di Mr.Ripley’, lo showman venne ricontattato per il film ‘Nine’, un musical diretto da Rob Marshall, ma per un ruolo marginale, quello di “un elegante cantante italiano che si esibisce mentre i protagonisti parlano tra loro in una sala da ballo”. Fiorello racconta che, non avendo neanche velleità nel mondo del cinema, non ci pensò due volte e rifiutò l’offerta valutando, tra l’altro, che era agosto e che, conoscendo gli americani, lo avrebbero trattenuto 25 giorni per girare una sola scena. Fu a quel punto – rivela – che Harvey Weinstein, produttore del film, gli inviò una lettera a sua firma.
“Mi scrisse che non potevo non accettare – ricorda ancora Fiorello – e che lui non poteva tollerare che un signor nessuno come me gli avesse detto no. Mi scrisse che Minghella aveva molta stima di me e cose tipo ‘come osi rifiutare’ e ‘tu forse non hai capito a chi hai detto no’, con una conclusione del tipo: ‘Dopo questo rifiuto, non lavorerai mai più in America'”. “Non prendo neanche l’aereo io! Se non mi avete visto in Guerre stellari e in Rocky 6 – conclude Fiorello sorridendo – ora sapete che è colpa di Weinstein”.