“Tonino il napoletano”, al secolo Antonio Schettini, ex boss del traffico di droga sull’asse Milano-Lecco negli anni ’80 e ’90, che ha confessato 59 omicidi (37 eseguiti, gli altri ordinati o organizzati), a breve sarà un uomo libero. Dopo “solo” 26 anni di detenzione, quasi tutti in 41 bis, a inizio del 2018 e da 60enne avrà finito di scontare la sua pena. Collaboratore di giustizia, così si spiega lo sconto della reclusione, era ai domiciliari già da quattro anni per motivi di salute con regolare permesso di uscire per andare al lavoro.
Coinvolto nelle maxi indagini Wall Street e Count Down, Schettini finisce in cella nel 1992 per l’omicidio del narcotrafficante Alfonso Vegetti, a Cinisello Balsamo. Nel ’94 inizia a collaborare con i magistrati e nel 2001 è fuori con altri 78 boss per un pasticcio della giustizia: erano scaduti i tempi di detenzione prima del processo di appello.
Per Tonino il tribunale dispone il soggiorno obbligato a Pisa, ma nel giro di poco sparisce e la Squadra mobile lo riporta dentro. Gli agenti lo catturano inscenando un cantiere in autostrada, a Melegnano: per lui regime di carcere duro, 41 bis.
Nato a Napoli da una famiglia di ferrovieri, si trasferì al Nord nel 1979. A Calusco d’Adda, sul confine con Lecco, ai tempi aprì il ristorante “‘O Scugnizzo”. Lì tutto ebbe inizio: gli servì poco tempo per emergere, nel suo locale passò tutta la malavita “in voga”. Si affiliò alla ‘ndrangheta, si fece battezzare “picciotto” e finì per passare dall’ala mite a quella esecutiva dell’organizzazione. Strangolamenti e agguati si susseguirono per un decennio con la banda dei Trovato-Flachi che acquistò potere, strinse patti e scatenò la guerra contro i Batti che intralciavano il loro dominio sugli stupefacenti. Un bagno di sangue, culminato, secondo i giudici, nel 1990, nell’esecuzione di Roberto Cutolo, figlio di Raffaele, il noto boss della “Nuova Camorra Organizzata” in Campania.