Coniugi uccisi dal figlio a Parete, il vescovo Spinillo: “Vittime della fragilità umana”

di Nicola Rosselli

“Non vogliamo essere giudici di nessuno né giudicare nessuno. Davanti a tragedie di questo tipo c’è poco da fare. C’è solo da piegare il capo in silenzio di fronte alle due vittime, ad un padre ed una madre che hanno fatto tutto quanto potevano per aiutare questo loro figlio sfortunato”. Monsignor Angelo Spinillo, vescovo della diocesi di Aversa, è visibilmente colpito dal dramma familiare causato dal duplice omicidio di Parete, dove una coppia di anziani coniugi, Francesco Afratellanza, 82 anni, e Antonietta Della Gatta, 80, originaria di Gricignano, come ipotizzato  dagli investigatori, sarebbe stata uccisa nel sonno dal loro secondo figlio maschio, Graziano Afratellanza, 40 anni, afflitto da problemi psichici (leggi qui).

Cosa si sente di dire ai parenti delle due vittime che sono anche parenti del presunto assassino? “Sono persone vittime della fragilità umana. L’essere umano è fragile e questi episodi ne sono la dimostrazione. I familiari avranno fatto certamente di tutto per aiutare il proprio congiunto, ma proprio l’essere fragile, insito in noi, ha portato a questa tragedia. Devono essere forti in questo momento tragico e di dolore. Soprattutto devono sapere perdonare ed essere vicino al loro congiunto che è una persona malata”.

E alle Istituzioni? “Questa storia dimostra che non sempre le Istituzioni riescono ad essere vicino a chi ha effettivamente bisogno. Siamo di fronte ad un caso nel quale non si è riusciti a difendere una persona debole da se stessa. Bisogna infondere umanità nelle norme, senza, ovviamente, voler colpevolizzare qualcuno. Si tratta di situazioni delicate dove non si può utilizzare sempre lo stesso parametro di azione”.

Si poteva fare qualcosa per evitare questa tragedia? “Bisogna che le leggi siano efficaci, che servano quando è necessario, se non ci sono bisogna vararle. In questo caso tragico il giovane in questione è stato seguito e curato per quanto è stato possibile e sino a quando è stato possibile, ma non si è potuto fare niente quando questo sfortunato giovane ha deciso di non continuare più le cure che gli consentivano di condurre una vita normale. Alla fine si è giunti alla tragedia che nessuno ha potuto evitare. Una tragedia che, ripeto, è sintomatica della fragilità umana”.

In particolare, cosa poteva fare la Chiesa? “La Chiesa fa quello che può. Cerca di essere vicino a chi soffre e di cercare di aiutare chi ha bisogno. Credo che la cosa più importante sia la ricerca continua del dialogo, di mettere al centro di tutto l’uomo e le sue debolezze, la fragilità di cui parlavo prima”.

Quanto ha influito, nel bene e nel male, la famiglia, istituzione della cui pastorale lei è titolare in seno alla Conferenza Episcopale Italiana? “Dare un giudizio in un caso come questo di Parete è complicato. Non esiste la famiglia in astratto e non esistono soluzioni uguali. Ogni situazione è diversa, ci sono famiglie e famiglie e non sempre si possono applicare regole. Certo quando in una famiglia ci sono problemi tipo questo di Parete, quando vive al proprio interno questi problemi non si può pensare che vi sia normalità, si crea un clima difficile, situazioni con le quali è difficile convivere. Vi sono difficoltà sia sociali che sanitarie che non consentono la normalità”.

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