La Corte d’Appello ha stabilito che Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi, essendo economicamente autosufficiente, non ha diritto all’assegno di 1,4 milioni al mese stabilito dal Tribunale di Monza in sede di divorzio. Si calcola che nei 63 mesi nei quali ha percepito l’assegno mensile, l’ex consorte del leader di Forza Italia abbia complessivamente percepito una somma di circa 91 milioni di euro, che si riducono a una cinquantina al netto delle tasse. Una somma che rende assai più che “economicamente autonoma” la Lario.
Così il legali dell’ex premier hanno chiesto di sospendere l’esecuzione del procedimento civile avviato a Monza con il quale la Lario aveva chiesto il pignoramento di circa 26 milioni di euro, poi bloccati sui conti correnti di Silvio Berlusconi, per il mancato versamento di una quota relativa all’assegno di separazione e per l’interruzione del versamento dell’assegno di divorzio a partire dai primi mesi di quest’anno.
Berlusconi, quindi, dopo aver versato, come lui stesso ha messo in atti, “26mila euro al giorno” netti per “5 anni” alla sua ex moglie, non dovrà più a corrisponderle alcun appannaggio all’ex moglie.
Con la “revoca dell’assegno divorzile” disposto dai giudici “a far tempo dalla mensilità successiva alla pubblicazione della sentenza di scioglimento del matrimonio e quindi da marzo 2014”, Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, sulla carta dovrebbe restituire all’ex marito poco più di 60 milioni di euro. Ma in pratica, in base ai complicatissimi rapporti di debiti e crediti tra i due ex coniugi, gliene dovrà circa 43 più le spese legali. Una cifra, insomma, che, si aggirerebbe tra i 40 ai 50 milioni.
Tuttavia, secondo il quotidiano “Libero”, potrebbe arrivare il “gesto magnanimo”. Berlusconi sarebbe intenzionato a rinunciare a riavere la somma.
Ecco i principali “indici” – forniti dal verdetto 11504 della Cassazione sull’assegno di divorzio – “per accertare” la sussistenza, o meno, “dell’indipendenza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno e quindi l’adeguatezza, o meno, dei “mezzi”, nonchè la possibilità, o meno, “per ragioni oggettive, di procurarseli.
Sono quattro: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri ‘lato sensu’ imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, inteso come dimora abituale, della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione”.
Tocca all’ex coniuge che chiede l’assegno, “allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive”. “Tale onere probatorio – spiega la Cassazione – ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell’indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo ex coniuge, restando fermo, ovviamente il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro” ex coniuge al quale l’assegno è chiesto.
In particolare, prosegue la Suprema Corte, “mentre il possesso di redditi e cespiti patrimoniali formerà oggetto di prove documentali, soprattutto le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative”.