Una vita spesa al servizio della comunità cristiana, nel senso più evangelico del termine, quella di monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra, deceduto domenica 10 dicembre. Fu portavoce dei terremotati del Belice, in Sicilia, che vivevano al freddo nelle baracche, e fu paladino delle città contro la camorra. Ha lasciato la vita terrena a 94 anni, a Stresa, in Piemonte, nella casa dei rosminiani dove si trovava dalla scorsa estate. A darne l’annuncio la Curia di Acerra dove è stato vescovo dal ’78 al 2000. I funerali saranno celebrati nella cattedrale di Acerra.
Vogliamo ripercorrere la sua vita, più che citando comunicati stampa di cordoglio, attraverso le parole di chi lo aveva conosciuto davvero e ci aveva lavorato insieme. Il giornalista e vaticanista Antonino D’Anna, ex penna di affaritaliani.it e Avvenire, si è offerto di raccontarci don Antonio riproponendoci il lavoro che nel 2008 elaborarono insieme: un libro sul terribile terremoto del 1968 in Sicilia (a Belice), “Testimoni del nostro tempo” per il cinquantesimo anniversario del sisma. Pubblicato nel 2009 con le Edizioni Santocono, esso si basa proprio sulle memorie del vescovo.
“Un’altra voce – si legge sul testo documentaristico – si fece sentire con forza fino a denunciare la lentezza della ricostruzione. Era quella di Antonio Riboldi, sacerdote rosminiano a Santa Ninfa si dagli anni ’50, che non volle rassegnarsi alla lentezza della burocrazia e della politica. Tanto che nel 1976, otto anni dopo, commosse l’Italia con il viaggio della speranza che lo portò a Roma, insieme a 50 bambini cresciuti nelle baraccopoli, a incontrare le istituzioni e papa Paolo VI. […] Il viaggio arrivò dopo anni di promesse su promesse di aiuti e interventi”.
Un aiuto concreto, il suo, a dimostrazione che il Vangelo non è solo “verba”, ma anche azione. Don Riboldi, come è riportato tra le pagine del libro, accusò: “Nel Belice si è rubato a cielo aperto”. Il libro continua poi con una breve biografia e le memorie del vescovo. “Era un uomo davvero eccezionale. – sostiene D’Anna – Dal profondo Nord è venuto nel Sud diventando siciliano tra i siciliani e poi, quando Papa Paolo VI lo h invitato ad Acerra, campano tra i campani, per rappresentare con coraggio le richieste dei bisognosi davanti alla politica e le istituzioni”.
Durante la sua trasmissione su Speaker, Aria Fritta, il vaticanista ha voluto condividere altri ricordi, in particolare quelli inerenti all’impegno antimafia. Questo sembrerebbe riassunto nella descrizione che lo stesso don Antonio fece, nel 2009 a D’Anna, del suo arrivo a Santa Ninfa: “A nessuno sembrava interessare il mio arrivo, non ci fu nessuna accoglienza festosa. Santa Ninfa, allora, sembrava dominata dalla mafia rurale che aveva nelle mani tutto il paese e non permetteva alcuno spazio di libertà, pensiero o azione. Si doveva solo piegare la testa e accettarne le leggi, ciò che fin dall’inizio non accettai, considerandolo una grave offesa alla mia dignità”.
“Io ho conosciuto don Antonio – D’Anna si lascia invadere dalla malinconia – grazie a don Fortunato di Noto, nel 2007, e iniziai con lui una corrispondenza prima epistolare poi telefonica. Lui è stato il prototipo dei cosiddetti pretacci, preti di strada che hanno fatto la loro parte spingendosi fino all’eroismo, soprattutto, contro la mafia. Se noi abbiamo avuto e abbiamo dei preti antimafia e anticamorra lo dobbiamo a Monsignor Antonio Riboldi”.