Banda della Magliana, arrestato in Spagna il latitante Fausto Pellegrinetti

di Redazione

Arrestato in Spagna, in un attico di superlusso ad Alicante,  il superlatitante Fausto Pellegrinetti 76enne appartenente alla nuova Banda della Magliana. Era ricercato da oltre 15 anni e destinatario di un ordine di esecuzione perché condannato in via definitiva a 13 anni di reclusione per i reati di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e riciclaggio. Un volto noto nell’ambito criminale. Nel 1992 fu fermato con 550 chili di cocaina. Tra il 1996 e il 1998 fu accusato invece di aver riciclato 6 miliardi di lire, provento del narcotraffico. Pellegrinetti, con vari alias (Franco, Enrico Longo, Franco Pennello, Giulio Dedonese), ha avuto contatti con esponenti di spicco della banda della Magliana e con il clan dei Marsigliesi.

Gli investigatori ritengono che Pellegrinetti sia un personaggio di elevato spessore criminale nella criminalità organizzata romana. Nel 1993, era il 22 ottobre, era evaso dalla clinica romana ‘Belvedere Mondello’, dove si trovava ricoverato agli arresti domiciliari, per poi far perdere le proprie tracce. L’ormai ex superlatitante vanta il legame criminale con il famigerato Clan dei Marsigliesi, quello delle tre B: Albert Bergamelli, Maffeo “Lino” Bellicini e Jacques Berenguer. Nel 1977 fu catturato in un residence sull’Aurelia dagli uomini della Squadra Mobile di Roma, assieme ad alcuni complici.

Nel 1980, insieme al suo gruppo del Tufello, ebbe un incontro presso un ristorante di Trastevere con Danilo Abbruciati detto er Camaleonte, Edoardo Toscano, detto l’Operaietto e Antonio Mancini, detto Accattone appartenenti al gruppo della Banda della Magliana. Il gruppo del Tufello aveva condiviso con Abbruciati l’esperienza delle “batterie” ed erano stati con lui imputati di rapine e sequestri di persona. Nel corso dell’incontro, il gruppo della Magliana sondò le intenzioni dei vecchi malavitosi del Tufello cercando di impadronirsi del controllo del traffico degli stupefacenti. Il gruppo non condivise tale proposta ma istituirono un legame sulle attività del toto nero, ai sequestri di persona, alle rapine ed alle estorsioni. Nello stesso incontro, secondo le testimonianza riferite dal ttestimone di giustizia Antonio Mantini, si parlò di attentare alla vita del giudice Imposimato.

Nel 1992 da un’indagine della Dea e dello Sco, le autorità italiane, seguendo il flusso del denaro tra Nord America, Europa e Colombia, arrivano a Pellegrinetti che si era rimodulato da efferato rapinatore a trafficante di stupefacenti e, successivamente in riciclatore di denaro. La svolta arriva in occasione dell’ultimo ”Pick Up” ovvero l’ultimo prelievo di denaro sporco, quando Pellegrinetti finisce in manette a Roma e viene sequestrato un milione e mezzo di dollari in contanti. Da lì si arriva, tra il 1996 e il 1998 all’operazione Malocchio. A capo dell’organizzazione risulta un triumvirato di vecchi criminali Primo Ferraresi e Giuseppe D’Alessandri e appunto Pellegrinetti che dalla zona di Malaga, dove vivevano in clandestinità, gestivano due business separati solo in apparenza: l’import-export della cocaina e il riciclaggio.

Sulla capitale si riversava periodicamente, un vero e proprio oceano di cocaina: 5000 mila chili smerciati sul mercato romano e la cifra astronomica di 55 milioni di dollari Usa riciclata in un ventaglio di attività diversificate. Pellegrinetti era a capo dell’organizzazione, con il ruolo di leader indiscusso e di regista di tutte le strategie espresse, coadiuvato da Ferraresi, sia nel campo del narcotraffico che in quello del riciclaggio, attraverso gli associati. La simbiosi tra le due componenti, la prima ad altissima caratura criminale e la seconda di riconosciuta professionalità imprenditoriale, evidenziava l’estrema pericolosità sociale del sodalizio grazie anche agli interessi comune con la famiglia calabrese Barbaro-Papalia e quella campana del clan Senese. Grazie all’immissione sul mercato d’ingenti capitali provento di traffici illeciti, l’organizzazione ha prodotto effetti discorsivi dell’economia legale in alcuni settori commerciali, nonché ad inserirsi nel business delle slot machine.

Il suo braccio destro, un palermitano con ottime conoscenze in America Latina, era Rosario Lillo Lauricella con il quale nel 1997 ricicla 16 miliardi delle vecchie lire comprando ed installando in Brasile migliaia di slot machine. Lauricella, dopo avere collaborato con la giustizia, venne ucciso a Caracas nel 2002, con difficoltoso riconoscimento stante le sue numerose plastiche effettuate al volto.

IN ALTO IL VIDEO

Scrivici su Whatsapp
Benvenuto in Pupia. Come possiamo aiutarti?
Whatsapp
Redazione
Condividi con un amico