Nel 2018 continuano le epurazioni in Turchia, da parte del governo di Erdogan, ancora in stato di emergenza dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016. In una sola settimana, secondo quanto riferisce il ministero degli Interni turco, 643 persone sono finite in manette con l’accusa di terrorismo.
Oltre i due terzi – 467 in totale – sono persone accusate di legami con il presunto mandante del fallito colpo di Stato, Fethullah Gulen, in auto-esilio negli Stati Uniti, e diciotto sono membri di organizzazioni di estrema sinistra. Altre 46 persone sono finite in manette per sospetti legami con l’Isis, il sedicente Stato Islamico (autore di diversi attentati in Turchia, tra cui quello alla stazione di Ankara del 10 ottobre 2015, costato la vita a un centinaio di persone), e 112 in operazioni contro i separatisti del PKK.
Secondo quanto riporta l’Anadolu Agency, agenzia di stampa con base ad Ankara, le operazioni condotte dalle forze di sicurezza in Turchia tra l’1 e il 7 gennaio sono state in tutto 729. In una di queste, in particolare, il ministero degli Interni ha fatto sapere che sono stati “neutralizzati” 17 terroristi del PKK. Sempre nelle operazioni contro i separatisti curdi, sono stati distrutti anche 32 rifugi e nove ordigni esplosivi improvvisati rinvenuti nelle province orientali del Paese. In totale, sono stati sequestrati oltre 860 chili di materiale per la costruzione di bombe, sedici armi, otto granate e quasi 3.500 munizioni.
Tornando alla presunta organizzazione golpista, sebbene dagli Usa Fethullah Gulen continui a negare ogni suo coinvolgimento, le autorità turche ritengono sia il principale responsabile del tentativo di golpe che causò 250 morti e circa 2.200 feriti. Da allora – come ricorda l’Ansa – in meno di un anno e mezzo oltre 50 mila persone sono state arrestate in Turchia con l’accusa di terrorismo.