Il ginecologo Severino Antinori è stato condannato a sette anni e due mesi di carcere nel processo relativo a un prelievo forzato di otto ovociti ai danni di una giovane infermiera spagnola avvenuto il 5 aprile 2016 alla clinica Matris di Milano. Per Antinori anche l’interdizione della professione medica per cinque anni e mezzo e una multa di 3.500 euro.
L’inchiesta, che aveva portato ai domiciliari il ginecologo, era partita due anni fa dopo la denuncia della giovane. I giudici di Milano hanno disposto la confisca degli embrioni ancora sotto sequestro e deciso che la clinica milanese Matris, dove operava il ginecologo, debba rimanere sotto sequestro fino alla sentenza definitiva.
“Una sentenza oltremodo eccessiva che stravolge la verita’ dei fatti. Siamo convinti dell’innocenza del professore Antinori e soprattutto della sua scienza”, ha commentato l’avvocato Gabriele Maria Vitiello, difensore di Antinori insieme agli avvocati Carlo Taormina e Tommaso Pietrocarlo. “Il medico oggi non è qui perché non sta bene, questa vicenda gli ha stravolto la vita. Attendiamo le motivazioni”, ha aggiunto. Il legale ha poi parlato anche dell’interdizione dall’esercizio della professione medica: “Il professore ha più di settant’anni, con l’interdizione e quanto gli è stato contestato avrà delle difficoltà, ma è forte, si rialzerà. Continueremo la battaglia”.
Gli altri tre imputati condannati sono la segretaria Bruna Balduzzi, che sconterà cinque anni e due mesi come l’anestesista Antonino Marcianò, Gianni Carabetta, condannato a due anni dopo essere stato l’unico ad ottenere le attenuanti generiche. Carabetta è coimputato con Antinori per una presunta tentata estorsione in relazione a minacce al telefono a una coppia di clienti della clinica Matris per ottenere il pagamento di oltre 25mila euro per avere un figlio con la fecondazione assistita. Assolta, invece, un’altra dipendente della clinica, Marilena Muzzolini.
La 23enne infermiera spagnola, di origini marocchine, raccontò di essere stata immobilizzata, sedata e poi costretta a subire l’intervento. Nella sua deposizione in un’aula protetta, disse di avere inizialmente accettato di donare i suoi ovuli dietro la promessa di ricevere settemila euro, ma di essersi infine rifiutata perché “vietato dalla religione musulmana”. Ciò nonostante, Antinori e la segretaria Bruna Balduzzi l’avrebbero “afferrata con la forza” e portata in sala operatoria dove Marcianò le avrebbe “messo un braccialetto verde al polso” per poi procedere con l’anestesia. La ragazza ha tentato fino all’ultimo di evitare il prelievo, al punto da aver “urlato ad Antinori e alla Balduzzi di lasciarmi – ha detto ai giudici – ma poi Marcianò mi ha fatto una puntura. Da quel momento in poi non ricordo più nulla”.
Con la sentenza i giudici hanno riconosciuto l’accusa principale del processo, escludendo solo un’aggravante, contestata dai pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti: quella di rapina aggravata degli ovociti, nella quale è stata assorbita l’accusa di sequestro di persona. Riconosciuti anche i reati di lesioni ai danni della ragazza, “limitatamente alle ecchimosi”, di falso e di tentata estorsione. “Cancellate”, invece, le imputazioni di rapina del telefono della giovane e un’altra accusa di sequestro. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni. Antinori, assieme ad altri, rischia anche un altro processo per l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al commercio illegale di ovociti destinati alla fecondazione eterologa.