Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, insieme ai militari del comando provinciale della Guardia di Finanza, hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Procura antimafia reggina, nell’ambito dell’operazione “Martingala”. Il decreto di fermo ha colpito 27 persone, ritenute responsabili a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale, associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro.
Le indagini – condotte dalla Dia di Reggio Calabria, sotto la direzione dei sostituti procuratori della Dda Stefano Musolino e Francesco Tedesco ed il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e del procuratore vicario Gaetano Calogero Paci – hanno consentito di accertare l’esistenza di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti, con base a Bianco (Reggio Calabria) e proiezioni operative non solo in tutta la provincia reggina, ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero. Gli elementi di vertice dell’organizzazione sono stati identificati in Antonio Scimone– principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali – nonché in Antonio Barbaro (cosca Barbaro “I Nigri”), Bruno Nirta (cosca Nirta “Scalzone”) ed il figlio di quest’ultimo, Giuseppe Nirta.
L’organizzazione poteva contare su un gruppo di società di comodo, comunemente definite “cartiere”, che venivano sistematicamente coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie. Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) e, dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente trasferite nel Regno Unito e cessate. Tutto ciò era ovviamente funzionale ad evitare accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Le fittizie operazioni hanno consentito al sodalizio di mascherare innumerevoli trasferimenti di denaro da e verso l’estero, funzionali alla realizzazione di molteplici condotte illecite, quali “in primis” il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi. Questo meccanismo fraudolento, mediante la predisposizione di false transazioni commerciali, ha costituito il volano per l’instaurazione di articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale. Gran parte di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”.
Le approfondite indagini finanziarie portate a termine dagli uomini della Dia hanno consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle operazioni fittizie, Antonio Scimone ed i suoi sodali riuscivano a far transitare dai conti delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di euro al mese. Questo vorticoso giro di denaro aveva termine direttamente in Italia mediante bonifici a società di comodo, oppure sui conti di società estere. Da detti conti il denaro veniva successivamente prelevato e riportato in contanti in Italia. L’organizzazione ha dimostrato anche una notevole capacità di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici. Ciò è avvenuto con varie modalità, ad esempio con la predisposizione di contratti di Joint Venture, o anche tramite i contratti di “nolo a freddo”: tali strumenti contrattuali venivano sviati dalle loro cause tipiche; nelle mani di Scimone diventavano flessibili strumenti funzionali all’esigenza di drenare, in modo apparentemente lecito, denaro da società che si erano aggiudicate appalti pubblici.
L’attività investigativa della Dia, sviluppatasi anche grazie all’approfondimento investigativo di oltre un centinaio di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, pervenute anche da Fiu (Unità di informazione finanziaria) estere, ha interessato, tra l’altro, dinamiche criminali estrinsecatesi nella città di Reggio Calabria, svelando l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione promossa e capeggiata da Scimone. Fra questi, si evidenzia la posizione di Pietro Canale, (socio di maggioranza ed amministratore della “Canale Srl”, società molto attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino Mordà, già interessato in passato da procedimenti in materia di criminalità organizzata. Con riferimento a Mordù, è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva. Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. In tale illecita attività, Mordà è stato attivamente collaborato dai suoi più stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco Arconte, figlio del più noto Consolato, già condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca Araniti. Nella rete della Dia è finito anche, con la contestazione del reato di riciclaggio, un impiegato di banca, il quale si è dimostrato sempre solerte nel soddisfare le illecite esigenze di Mordà.
Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal Gico della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione guidata da Scimone – avvalendosi del complesso reticolo di imprese allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata “Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Storitve Doo”) – ha fornito alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a Giorgio Morabito, collegati alla cosca Piromalli. Tali imprenditori erano stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Cumbertazione”, condotta dalla Guardia di Finanza, su delega della Dda di Reggio Calabria, in quanto, quali imprenditori espressione della ‘ndrangheta, avevano agevolato gli interessi di quest’ultima nel settore degli appalti pubblici, costituendo, gestendo e di fatto infiltrandosi in un nucleo di oltre 60 imprese, sostanzialmente consorziate tra di loro, che governavano collusivamente le principali aggiudicazioni dei lavori pubblici nell’area della piana di Gioia Tauro, attraverso insidiose attività di turbativa delle relative aste.
Partendo da tali risultanze, l’attività investigativa delle fiamme gialle reggine si è focalizzata sulla ricostruzione dei flussi finanziari legati all’aggiudicazione di due appalti pubblici – entrambi finanziati con i fondi europei P.i.s.u. (Piani integrati di sviluppo urbano) – che il cartello d’imprese predetto, sotto la regia di Morabito, ha ottenuto con le accennate modalità delittuose. Si fa specifico riferimento, in primis, all’appalto – gestito di fatto dai Bagalà e da Morabito – relativo al “Centro Polisportivo a servizio della città – porto” (l’ambito portuale interessato ricadeva nel Comune di Rosarno che era l’ente appaltante). A tal riguardo, è stato accertato che la società formalmente aggiudicataria della gara pubblica (Barbieri Costruzioni Srl) aveva ottenuto un’anticipazione dal predetto ente per 877.557,12 euro. Tale somma, a sua volta, per circa 670 mila euro, era stata fatta confluire dai conti correnti della “Barbieri” sui rapporti finanziari delle società italiane riconducibili allo Scimone e, da qui, successivamente, su quelli delle imprese estere (le predette Nobilis Metallis Doo e B-Miljon). Infine, da tali conti esteri, sono stati disposti bonifici in favore di vari imprenditori coinvolti nel sistema (tra cui Mordà e Canale) nonché prelevate somme in contanti dallo Scimone che sono state poi consegnate al Morabito. Anche in relazione al secondo appalto, relativo al “Centro Polifunzionale – lato sud del lungomare di Gioia Tauro” (il Comune di Gioia Tauro era l’ente appaltante), è stato accertato che quest’ultimo ente pubblico aveva concesso alla società aggiudicataria dei lavori (“Cittadini Srl”) un anticipo sull’importo del Sal per 775.966,66 euro a fronte di fatture emesse, tra le altre, da imprese riconducibili allo stesso Scimone.
Tutto ciò a conferma che il “Sistema Scimone” – ricorrendo ad un articolato schema di imprese nazionali ed estere nonché ai correlati rapporti economici e finanziari – ha di fatto garantito ad intere filiere criminali riconducibili alle principali cosche di ‘ndrangheta locali, adeguato, sicuro e protetto canale per riciclare i proventi illeciti derivanti, tra gli altri, dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti. Le indagini, pertanto, hanno evidenziato la caratura criminale di Antonio Scimone, soggetto che spicca come riciclatore professionista al servizio non della singola cosca, ma della criminalità organizzata della provincia reggina unitariamente intesa, per conto della quale si è prestato sistematicamente a favorirne gli interessi economici attraverso il suo collaudato sistema di società di comodo italiane e straniere. Oltre ai soggetti fermati, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone.
In considerazione della tipologia dei reati contestati, che consentono, in massima parte, la confisca, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di 51 società con sede in varie regioni d’Italia ed anche all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro. Per l’esecuzione dei provvedimenti, il centro operativo Dia di Reggio Calabria ha potuto contare sul fondamentale apporto delle articolazioni periferiche Dia di Milano, Padova, Roma e Catanzaro, nonché di personale di supporto proveniente dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Campania, mentre la Guardia di Finanza è intervenuta mediante l’impiego di 220 militari tratti dai Reparti dipendenti dal Comando Provinciale di Reggio Calabria.
In concomitanza con l’operazione “Martingala”, i finanzieri del Gico e del reparto operativo-nucleo investigativo dell’Arma dei Carabinieri di Firenze, hanno fatto luce, sotto la direzione della Procura distrettuale antimafia toscana, sul riciclaggio/reimpiego nel tessuto economico toscano dei proventi illeciti conseguiti dall’associazione capeggiata da Antonio Scimone, Antonio Barbaro e Bruno Nirta, segnatamente nei confronti di imprenditori operanti nel locale distretto conciario. All’esito delle indagini, la Guardia di finanza ed i carabinieri di Firenze hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 persone, oltre al sequestro preventivo di 12 società e disponibilità finanziarie. La complessa attività è stata svolta con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.
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