Condanna all’ergastolo con isolamento diurno, emessa dal Tribunale di Napoli Nord, per Carmine D’Aponte, l’uomo che uccise con un colpo di pistola la moglie Stefania Formicola. I due vivevano a San Marcellino, nel Casertano, ma l’omicidio avvenne a Sant’Antimo, nel Napoletano.
“Era questo il nostro scopo, ma non mi aspettavo che lo condannassero all’ergastolo. Questa volta è stata fatta veramente giustizia”. Esprime gioia mista a dolore Adriana Esposito, la madre di Stefania, 28 anni, uccisa all’alba del 19 ottobre 2016, a Sant’Antimo, con un colpo di pistola al cuore sparato dal marito Carmine dal quale si stava separando e con il quale era ferma in auto. “Lui è rimasto impassibile, – ha detto ancora la donna, che ha atteso la sentenza in aula insieme con il marito Luigi Formicola – non ha mostrato nessun segno di pentimento, neppure davanti a una sentenza così dura”.
Carmine D’Aponte e Carmela Formicola già da tempo, prima dell’omicidio, nell’ottobre di due fa vivevano una situazione tormentata fatta di continui litigi e per questo la donna aveva deciso di separarsi. D’Aponte quella mattina fece salire in macchina la moglie chiedendole un ultimo incontro mentre Stefania si stava recando al lavoro; ne nacque una lite culminata con l’omicidio della donna. I due figli minori della donna alcuni mesi fa sono stati affidati definitivamente ai nonni materni. Il pubblico ministero della Procura di Napoli Nord aveva chiesto il carcere a vita e ha ottenuto in sentenza anche la revoca della patria potestà dei suoi due bambini affidati ai nonni materni che si sono costituti parte civile, assistiti dall’avvocato Raffaele Chiummariello.
Stefania Formicola aveva deciso di lasciare il tetto coniugale e tornare ad abitare con i genitori fino all’appuntamento ‘trappola’. “Scendi, ti devo parlare e dobbiamo chiarire una volta per tutte”, aveva detto il marito. D’Aponte era armato e dopo un litigio violento estrasse la pistola e fece fuoco mirando allo stomaco. Fu arrestato poche ore dopo. Gli investigatori trovarono anche un diario di Stefania nel quale la donna raccontava le violenze che subiva dal marito e in un passaggio si appellava ai suoi genitori implorandoli di prendersi cura dei suoi figli se le fosse accaduto qualcosa. Un presagio che fu ricordato anche durante l’omelia del rito funebre nel rione don Guanella a Miano, dove era nata e cresciuta fino al matrimonio. I legali dell’uomo condannato hanno sostenuto in aula che D’Aponte non volesse ucciderla e che andava in giro armato per paura del suocero che lo aveva minacciato.
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