Tra le province di Caserta e Napoli, i carabinieri della compagnia del capoluogo di Terra di Lavoro hanno dato esecuzione a 18 misure cautelari nei confronti di sedici persone di nazionalità albanese e due cittadini italiani, indagati a vario titolo per concorso nei delitti di furto e rapina aggravati, estorsione e ricettazione. L’attività d’indagine, avviata nell’ottobre 2015, è stata diretta dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere a seguito della consumazione di cruenti rapine in abitazione nei Comuni dell’agro caleno che talvolta erano degenerate In vere e proprie aggressioni nei confronti delle vittime.
L’indagine è infatti scaturita a seguito di una violenta rapina in abitazione consumata a Liberi, nel corso della quale i malviventi avevano ingaggiato una violenta colluttazione con un amico dei proprietari di casa che, trovandosi all’interno dell’abitazione, aveva reagito mettendo i malviventi in fuga. Il sopralluogo effettuato dai carabinieri all’interno della casa aveva, infatti, consentito di rinvenire numerose tracce di sangue riconducibili ai rapinatori, che erano state quindi reperiate ed inviate al Racis (Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche), permettendo d’identificare due albanesi grazie alla comparazione del Dna. L’importante riscontro ha consentito di poter attivare un’articolata attività d’indagine, svolta mediante attività tecniche d’intercettazione telefonica ed ambientale nonché attraverso prolungati servizi di osservazione e pedinamento che ha consentito di compendiare un grave quadro indiziario a carico degli indagati in ordine alla responsabilità di 5 rapine aggravate e 34 furti in abitazione commessi tra la Campania e il Lazio.
L’episodio più cruento si è verificato il 16 maggio 2017 durante un furto in abitazione commesso a Giugliano (Napoli). Nella circostanza, vedendosi uno degli albanesi scoperto e allo scopo di garantire la fuga a sé ed ai suoi complici, ha esploso dei colpi d’arma da fuoco in direzione di un agente della Polizia di Stato, libero dal servizio, che rispondeva al fuoco con l’arma d’ordinanza, ferendo il malvivente poi tratto in arresto.
In particolare, le indagini hanno permesso di ricostruire il modus operandi, sostanzialmente analogo in tutti gli episodi contestati. Vi era una prima fase organizzativa in cui gli albanesi si contattavano e si davano appuntamento in un punto d’incontro prestabilito. Sul posto, dopo aver spento i telefoni cellulari per evitare di essere localizzabili, venivano definiti i ruoli ed i compiti di ciascuno, dopodiché l’autista accompagnava il “gruppo esecutivo” nella località prescelta, per poi allontanarsi. Solo alle prime ore del mattino, dopo la commissione di più furti nella stessa zona, i malviventi contattavano l’autista per farsi venire a recuperare in un punto preventivamente concordato. Lo spessore criminale del gruppo criminale è chiaramente confermato dal fatto che gli stessi agivano sempre armati di pistole e con grossi arnesi atti ad offendere, utilizzavano abiti scuri ed operavano scalzi per evitare di far rumore e mettere in allarme le vittime.
In molti episodi il “gruppo esecutivo”, composto generalmente da 4 o 5 persone, si impossessava anche delle autovetture delle vittime che venivano poi parcheggiate in luoghi ben determinati in attesa di essere vendute a terzi compiacenti ovvero restituite ai proprietari dietro il pagamento di somme di denaro; le macchine venivano asportate utilizzando le chiavi originali prelevate all’interno delle abitazioni derubate al fine di evitare di danneggiarle e poterci quindi ottenere maggiori ricavi. In tale ambito, emergono i ruoli degli italiani destinatari delle misure cautelari. Gli albanesi, infatti, si avvalevano dei complici italiani per contattare telefonicamente i proprietari e chiedere una somma di denaro in cambio della restituzione delle autovetture. Quando, invece, “il cavallo di ritorno” non si concludeva positivamente, i veicoli venivano consegnati a ricettatori attraverso officine compiacenti.
L’operazione ha consentito di prevenire una nuova serie di attività delittuose che gli stessi indagati avevano in mente di compiere dopo essere rientrati illecitamente nel territorio nazionale nonostante la già avvenuta emissione di vari provvedimenti di espulsione a loro carico.
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