Caso Moro, 40 anni dopo. Gabrielli: “Un oltraggio nobilitare i terroristi in tv”

di Redazione

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha reso omaggio alle vittime dell’eccidio di via Fani a 40 anni dal rapimento del presidente della Dc, Aldo Moro. Presenti alla commemorazione anche il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il governatore Nicola Zingaretti. “Il più grave attacco alla Repubblica. L’Italia rende omaggio a un grande leader politico, ai carabinieri e agli agenti di polizia”, ha scritto su Twitter il premier Paolo Gentiloni.

Non sono poi mancati interventi polemici, come quello del capo della polizia, Franco Gabrielli. Secondo il quale è “un oltraggio” nobilitare i terroristi, ospitandoli “in asettici studi televisivi come se stessero discettando della verità rivelata”. Facendo riferimento, pur senza menzionarle esplicitamente, alle ultime interviste ad Adriana Faranda, Gabrielli ha parlato di “una sorta di perverso ribaltamento” in cui “si confondono ruoli e posizioni. Dobbiamo ricordare chi stava da una parte e chi dall’altra”. Per il capo della polizia, “il rispetto della memoria è anche dire parole chiare. In via Fani c’erano 6 uomini dalla parte delle istituzioni, cinque sono morti subito e uno dopo 55 giorni, e un commando di brigatisti, terroristi e criminali. Scrivere ‘dirigenti della colonna delle brigate rosse’ è un pugno allo stomaco. Non so se sia stato scritto mai di Riina ‘dirigente di Cosa Nostra’. La parola ‘dirigente’ nobilita, sarebbe stato più giusto dire criminale e terrorista”.

Da via Fani a via Caetani, passando per via Montalcini e via Gradoli con una puntata “fuori porta”, tra Palidoro e Palo Laziale, sul litorale. I misteri del caso Moro si riflettono plasticamente sulla toponomastica di una città, Roma, dove il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse rapirono l’esponente della Democrazia cristiana e uccisero i cinque uomini della sua scorta. Il cadavere dell’allora presidente della Dc fu ritrovato 55 giorni dopo, il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. A quarant’anni da una delle pagine più buie della nostra storia, sono ancora molti gli interrogativi e i misteri ancora irrisolti.

Tra il 16 marzo e il 9 maggio la Capitale era presidiata dalle forze dell’ordine, con posti di blocco ovunque. Ma nessun controllo si rivelò utile e le vie romane si trasformarono in un labirinto senza uscita. Quarant’anni dopo, su ciascuna delle “stazioni” lungo le quali si è dipanata la via crucis dello statista democristiano è rimasta una coltre di nebbia, favorita dalla rigida compartimentazione con cui si muovevano le Brigate Rosse oltre che da reticenze e depistaggi messi in atto da diversi soggetti.

Via Fani – Inizia tutto in via Fani, all’angolo con via Stresa, intorno alle 9 del 16 marzo. Un commando di terroristi (c’erano solo loro? E quanti in realtà?) apre il fuoco sulla scorta di Aldo Moro, partito dalla sua casa in via del Forte Trionfale 79 per andare alla Camera a votare la fiducia al quarto governo Andreotti. Muoiono crivellati di colpi i cinque agenti al seguito del presidente della Dc: il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi e l’appuntato Domenico Ricci a bordo della Fiat 130 non blindata di Moro; Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi sull’altra vettura. L’esponente politico viene prelevato e sistemato a bordo di una Fiat 132 blu che riparte a tutta velocità verso via Trionfale, preceduta e seguita da altre due auto dei componenti del commando. Secondo le ricostruzioni fornite successivamente dai brigatisti, le tre auto vengono abbandonate tutte insieme nella vicina via Licinio Calvo.

Via Montalcini – Quartiere Portuense. Al numero 8, interno 1, di questa via della Magliana, secondo quanto emerso dai processi, sarebbe stato tenuto sotto sequestro per 55 giorni il numero uno della Democrazia Cristiana. La “prigione del popolo” è in un territorio all’epoca capillarmente controllato dalla banda della Magliana che, a sua volta, ha legami solidi con apparati dello Stato deviati. Alcuni esponenti del gruppo criminale, da Danilo Abbruciati ad Antonio Mancini, abitano a pochi passi dal numero 8 di via Montalcini. L’appartamento è intestato alla brigatista Anna Laura Braghetti, la cosiddetta “vivandiera”. Dentro ci sono anche Prospero Gallinari e Germano Maccari. Per gli “interrogatori” arriva Mario Moretti, che parte da un altro luogo simbolo: via Gradoli 96. Tanti i dubbi anche sul covo: c’è chi ipotizza che lo statista sia stato prigioniero in altre zone. Addirittura sul litorale, in una zona più appartata e tranquilla rispetto a Roma, tra Focene e Palidoro, come indicherebbero i sedimenti trovati sugli indumenti del politico.

Via Gradoli – In questa traversa della Cassia, zona Nord, in una palazzina al numero 96, si trova Mario Moretti, dietro l’alias di “ingegner Borghi”, con la compagna Barbara Balzerani. La polizia, in occasione dei controlli compiuti due giorni dopo la strage di via Fani, si reca in via Gradoli come in altre strade del quartiere, ma non in quell’appartamento. Il “covo di Stato”, come è stata definita da Sergio Flamigni, viene scoperto solo il 18 aprile 1978, in seguito ad una perdita d’acqua segnalata dall’inquilina del piano di sotto. Si apprenderà poi che nella palazzina ci sono ben 24 case di società immobiliari intestate a fiduciari del Sisde. Altro “mistero”: nel settembre del ’79 il funzionario del Viminale Vincenzo Parisi compra un appartamento al numero 75, stesso stabile dove Moretti, prima e durante il sequestro, disponeva di un box auto. Tra l’81 e l’85 Parisi, nel frattempo diventato vicedirettore e poi direttore del Sisde, prosegue con gli acquisti al numero 75 e anche al 96. Parisi diventa poi capo della polizia.

Via Caetani – Il sequestro Moro si chiude al centro di Roma: in via Caetani – dietro Botteghe Oscure, sede del Pci e poco distante da piazza del Gesù, sede della Dc – la mattina del 9 maggio viene fatta trovare una Renault 4 amaranto con il cadavere del politico nel portabagagli. Tanti i dubbi sollevati da chi ritiene improbabile che i brigatisti quella mattina abbiano attraversato tutta la città per arrivare da via Montalcini al centro storico. C’è chi ipotizza che il prigioniero si trovasse in realtà in un covo nei dintorni di via Caetani.

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