Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini “si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ‘ragazzi’, l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto”. Lo dice il maresciallo dei carabinieri Riccardo Casamassima in aula, durante il processo ai cinque carabinieri, tre dei quali accusati della morte di Stefano Cucchi.
La conferma del pestaggio del giovane geometra romano, arrestato nell’ottobre 2009 e poi morto una settimana dopo in ospedale, proviene dal maresciallo Riccardo Casamassima, uno dei teste chiave del processo, sentito davanti alla prima Corte d’assise. La decisione di raccontare questo episodio arrivò qualche anno dopo la morte di Cucchi, nel 2015, “perché pensavo che Mandolini volesse fare lui stesso qualcosa. Avevo paura di ritorsioni. – ha aggiunto Casamassima – Dopo la mia testimonianza hanno cominciato a fare pressioni pesanti nei miei confronti. Ho avuto anche problemi perché ho rilasciato interviste non autorizzate; si stava cercando di screditarmi, e io dovevo far capire che tutto quello che dicevano non era vero”.
“Per anni io e la mia famiglia abbiamo rincorso la verità, abbiamo atteso troppo. Ritengo che il principale responsabile di questa attesa sia il maresciallo Mandolini”. Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha commentato la testimonianza in aula del maresciallo Casamassima. “Ricordo bene quando Mandolini venne in aula nel primo processo, quello sbagliato, – ha aggiunto – a raccontarci la storiella che quella era stata una serata piacevole e che Stefano era stato anche simpatico. Adesso è il processo giusto, si parla di pestaggio. E ogni volta che entro in quest’aula ho la pelle d’oca. E’ inaccettabile, e lo dico da sorella di Stefano ma anche da cittadina, che si sia cercato di scaricare tutto sulla polizia penitenziaria”.