Aversa, perché l’italiana Adele non riceve dallo Stato lo stesso interesse mostrato per Alfie?

di Antonio Arduino

Aversa – Strano Paese l’Italia. Si mobilita per garantire la cura ad un bambino inglese di 23 mesi destinato a morire per una malattia definita incurabile ed in fase terminale sia da validissimi specialisti, non solo britannici, sia dalla Corte Europea per la tutela dei diritti dell’uomo, e non muove un dito per tutelare il diritto costituzionale alla salute e alle cure di una cittadina italiana quarantenne affetta da sensibilità chimica multipla (Mcs). Una malattia riconosciuta persino dall’Inps, che è lo Stato, condannandola a morte lenta malgrado esista un centro capace di curarla efficacemente negli Stati Uniti d’America.

Senza dubbio, nel caso del piccolo Alfie Evans lo Stato italiano si è mosso sotto la spinta del movimento internazionale nato per sollecitare le autorità inglesi a non autorizzare la sospensione delle cure, sperando poi in un miracolo. E bene hanno fatto le autorità istituzionali italiane e i medici italiani a rendersi disponibili ad assicurare le cure del piccolo Alfie, dandogli d’urgenza la cittadinanza italiana e mettendo a disposizione un aereo militare, con un’equipe medica pronta a partire appena fosse arrivato il via libera dalle autorità inglesi.

Ma perché non si è offerta la stessa possibilità di cura ad Adele Iavazzo che potrebbe essere trattata efficacemente negli Usa? Forse perché per Adele si sono mobilitati solo la città di Aversa e il vescovo della Diocesi? Troppo poco per fare notizia sui media internazionali? Siamo certi che non è così, ma è un dato di fatto che per un cittadino inglese si sono mossi d’urgenza due ministri (Alfano e Minniti), ha speso parole di sostegno addirittura Papa Francesco, mentre per Adele, cittadina italiana dalla nascita, le Istituzioni che possono intervenire hanno fatto spallucce, lasciandola al suo destino di morte lenta.

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