Napoli – Potrebbe non esserci il racket dietro all’esplosione del bar “Le Shabby Caffè” di via Toledo, che nella serata del 14 giugno ha rischiato anche di coinvolgere anche le abitazioni vicine. O meglio, potrebbe non essere l’unica pista, vagliata dagli inquirenti, che hanno ascoltato i titolari dell’esercizio commerciale, i fratelli Bonavolta, originari di San Giovanni a Teduccio e con altre attività nel settore della ristorazione.
Imprenditori solo sfortunati, considerato che un altro bar di loro proprietà ha subito stessa sorte alcuni mesi fa, oppure c’è qualcosa di diverso dietro le esplosioni. Nello scenario secondo il quale il gruppo armato dei Mazzarella avrebbe posizionato l’ordigno, manca in sostanza la certezza del “movente” o, semplicemente, del motivo reale che ha portato all’idea di distruggere un bar. Chiuso, ufficialmente, solo per motivi di ristrutturazione, almeno stando alle affermazioni dei titolari.
Ventiquattro ore dopo l’attentato, gli inquirenti battono non solo una pista obbligata. Si muove la sezione antiracket della Questura, viene allertata la Procura. Vuole vederci chiaro il pm anticamorra Urbano Mozzillo, titolare delle indagini sul raid incendiario di ieri notte e su quello di novembre scorso. Storia di racket – è la prima ipotesi investigativa – c’entra la camorra. Sentiti dalla Mobile del primo dirigente Luigi Rinella, i due imprenditori hanno sostenuto di non aver mai ricevuto richieste estorsive, senza però fornire alcun particolare utile alle indagini. Come un copione già letto.
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