Quando si parla di Oceano Indiano si parla innanzitutto di barriera corallina. Una formazione tipica di quello oceano, realizzata da madre natura negli anni con la sedimentazione degli scheletri calcarei dei coralli e di animali marini che modifica il fondo del mare creando delle decorazioni bellissime, visibili a chi pratica nuoto subacqueo ma per coloro che amano starsene stesi al sole per poi fare un tuffo nel mare le cose stanno in maniera diversa.
L’aspetto della sabbia bagnata dall’oceano indiano nel colore è molto simile a quello presente sulle coste che vanno da Castel Volturno a Gaeta, quindi di colore giallo e finissima, ma si presenta a terrazza a causa della fenomeno della bassa marea che è una costante di questo oceano. Così è possibile starsene distesi su un lettino a prendere il sole, tenendo la testa al riparo sotto un ombrellone realizzato con le palme di un albero ma volendo poi tuffarsi nel mare c’è da rifletterci bene. Perché la bassa marea e le correnti sono estremamente pericolose e il mare si presenta ricco di alghe che vengono lasciare sulla spiaggia dalla bassa marea. Alghe che nessuno porta via perché si aspetta che a farlo sia l’alta marea.
Di conseguenza, il confronto fra le nostre spiagge, mantenute pulite dai gestori degli stabilimenti balneari, e quelle dell’oceano indiano collegate ai resort, anche molto costosi, non esiste. Quanto alla presenza dei cosiddetti ‘vu cumprà’ che abbondano sulle spiagge italiane va segnalato che si tratta di un’attività universale dal momento che anche sulle spiagge dell’oceano indiano, come in Kenya, troviamo ‘vu cumprà’ naturalmente africani doc come quelli appartenenti alla tribù dei masai che propongono oggetti d’artigianato realizzati con perline. L’unica differenza sostanziale è la presenza sulle spiagge di dromedari e cammelli portati a spasso da africani che propongono ai turisti un giro in sella all’animale che se non controllato si dimostra pericoloso.
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